Convegno di archeologia locale

CONVEGNO 1999



1° Convegno Nazionale


Le Cento Fattorie Romane
della Piana di Lucca

e le prospettive per un parco archeo-naturalistico

Lucca, Grand Hotel Guinigi


ATTI

  

Relazioni scientifiche

Gli aspetti archeologici



Dott. GIULIO CIAMPOLTRINI
Responsabile di Zona per la Provincia di Lucca

Sovrintendenza Archeologica della Toscana


Archeologia nel bacino del Bientina : una cronaca delle ricerche

I primi ritrovamenti nel bacino del Bientina riportano – se non si vuol partire dalle mitiche annotazioni delle cronache rinascimentali sulla perduta città di Sesto - alla fine dell’Ottocento, ma fare cronaca delle ricerche archeologiche in questo lembo di Toscana significa, oggi, sopratutto, ripercorrere il lavoro dell’ultimo ventennio, con l’inevitabile rischio, per chi parla, di indulgere all’autobiografismo o alla celebrazione dei compagni di tante avventure archeologiche. Solo dopo aver fatto questa debita premessa. si può tentare di sunteggiare per sommi capi un secolo di ricerche.
Alle tombe, alle oscure e fraintese tracce di abitati dei ritrovamenti che scandiscono le opere di bonifica, dal 1892 fino agli anni trenta, succede negli anni Cinquanta l’attività di un singolare personaggio, il bientinese Vittorio Bernardi, che in un momento in cui l’archeologia ‘ufficiale’ divaga ancora sulle oscure connotazioni etnico-culturali di Pisa e del Valdarno, incerta fra Liguri e Etruschi, sostiene pervicacemente l’idea di una consistente presenza etrusca a Nord dell’Arno, nella Piana del Bientina, e con i ritrovamenti casuali (1953) di necropoli, e i successivi scavi (1957) ancora della stessa necropoli, e di un abitato etrusco del V secolo a. C., conforta le sue proposte; il Bernardi dovrà però attendere quasi trent’anni per vedere riconosciute le sue tesi.
Se la passione dell’archeologia toscana per il mondo etrusco è forse uno dei motori degli interessi del Bernardi, non si dovrà negare che nell’interesse per l’archeologia che negli anni Settanta pervade settori non marginali della società, riverberandosi anche in un interesse per le memorie locali che va dall’antichità classica fino alle testimonianze di una cultura contadina ormai in via di estinzione, essa stessa in procinto di divenire archeologia, deve essere cercato il motivo che spinge il porcarese Guglielmo Marconi a ripercorrere l’antico tracciato del Serchio (il latino Auser) nella bonifica del Bientina, e a scoprire decine e decine di insediamenti romani. Parte dei suoi ritrovamenti esce dal chiuso grazie alle notizie che lo stesso Bernardi pubblica su una rivista assolutamente di diffusione locale, lucchese, il “Notiziario Storico Filatelico”; ma Paolo Mencacci e Michelangelo Zecchini ne trarranno ben altra levatura di dati per il loro volume su “Lucca Romana” che, all’inizio degli anni Ottanta, chiude la fase pionieristica, di mero ‘volontariato appassionato’, per preparare la nascita di un’archeologia ‘regolare’ anche in questo territorio.
In effetti, fra 1980 e 1981 l’atteggiamento della Sovrintendenza Archeologica per la Toscana per le realtà archeologiche ritenute sino a quel momento minori, o marginali, muta radicalmente, anche per una prospettiva di tutela ‘globale’, che mira, cioè a coprire la totalità delle evidenze storico-archeologiche. In questa prospettiva il progetto d’indagine e di salvaguardia del patrimonio archeologico del Bientina che magmaticamente emergeva dalle pagine di “Lucca Romana” trovò ampio interesse, e un finanziamento non ampio, ma sufficiente ad iniziare l’indagine; fra 1981 e 1982 saggi in due aree campione per l’età romana, il Chiarone e il Fosso Gobbo, e su un sito d’età etrusca, a Ponte Gini di Orentano, dimostravano che il Bientina conservava ancora, dopo tanti lavori di bonifica e agricoli, un patrimonio archeologico straordinario che doveva essere tutelato e valorizzato. Con un decreto ministeriale, già nel 1982, venivano assoggettate alle leggi di tutela sedici aree archeologiche comprese nel Demanio dello Stato.
Risolta la fase diagnostica, si poteva passare all’esplorazione metodica; dapprima il sito di POnte Gini di Orentano, con le sue tre fasi di insediamento, del secolo V a. C., della fine del IV e del pieno III secolo a. C.. Fra 1983 e 1986 tre campagne di scavo consentivano di mettere in luce gran parte di un sito che rimane ancora, per i materiali restituiti –in particolare le monete- e per le opere di consolidamento in legno, uno degli abitati d’età ellenistica più spettacolari dell’Etruria settentrionale.
Procedendo nel progetto sistematico, sul finire degli anni Ottanta si ritornava al Chiarone, un sito che, nel primo saggio del 1982 aveva rivelato consistenti tracce di una frequentazione millenaria, dall’età villanoviana (VIII sec. a. C.) alla fine del II sec. d. C., ed era , dunque, un vero e proprio ‘campione’ dell’insediamento antico sul basso corso dell’Auser. Grazie alla competenza e all’entusiasmo di Paolo Notini, e dei collaboratori Bruno Sodini e Renzo Merciadri, fu possibile, fra 1987 e 1990, districare nel groviglio di cavità, di buche di palo, di capanne ripetutamente scavate nel suolo, le varie fasi dell’insediamento.
La riorganizzazione dei programmi della Sovrintendenza e l’emergere di altre priorità hanno fatto sì che per il momento l’impegno diretto della Sovrintendenza si sia esaurito con lo scavo del Chiarone; nel frattempo, l’ampliamento e l’adeguamento del Museo Nazionale di Villa Guinigi in Lucca, grazie all’opera della Sovrintendenza per i Beni BAAAS di Pisa e in particolare degli Architetti Giovanna Piancastelli e Francesco Cecati e delle storiche dell’arte Clara Baracchini e Maria Teresa Filieri consentiva di rendere accessibili al pubblico le testimonianze appena emerse dagli scavi del Chiarone e di Ponte Gini.
La diffusa sensibilità per il patrimonio archeologico nel frattempo maturata nel territorio aveva portato alla nascita di un volontariato assai agguerrito e preparato e, di pari passo, ad un vivace interesse degli Enti Locali: già sul finire degli anni Ottanta il Comune di Capannori avviava un progetto di lavoro, con la determinante partecipazione del Gruppo Archeologico “Quarto”, nel sito di Palazzaccio di San Ginese. Se questo si esauriva nel giro di pochi anni, la determinazione del Comune di Porcari e di Michelangelo Zecchini hanno fatto sì che lo straordinario sito, etrusco e romano, di Fossa Nera A abbia potuto essere integralmente scavato e restaurato, e costituisca oggi il nocciolo di un possibile, futuro Parco Archeologico e che si sia iniziato, con i risultati che si stanno già vedendo, lo scavo di Fossa Nera B. Sul versante del volontariato, l’attività di Augusto Andreotti, nell’orentanese, aveva già dato inattesi risultati, con lo scavo dell’abitato tardoantico di Corte Carletti e del singolare ponte di legno del Botronchio.
Gli anni Novanta hanno visto dunque un’intensa attività di tutela preventiva, sul versante della Sovrintendenza, e lo scavo di Fossa Nera, grazie all’interesse del Comune di Porcari.
L’attività di tutela è stata, tuttavia, nell’insieme, forse altrettanto organica e foriera di risultati dell’opera ‘programmata’ degli anni Ottanta. Nel 1993, con il volontariato orentanese, si poteva scavare, nel territorio del Bientina, un abitato del VI secolo a. C. che rimane il più prezioso documento di questo momento storico, a Fossa 2; fra il 1990 ed il 1994 ancora Augusto Andreotti recuperava e rilevava un vasto insediamento del X secolo a. C. a Fossa 5, ancora in Comune di Bientina.
Nuovi dati sul complesso archeologico del bacino del Bientina, ormai nella piana lucchese vera e propria, venivano infine dai lavori pubblici: il metanodotto della SNAM, fra 1994 e 1996, metteva in luce più di una decina di siti archeologici, dall’età del Bronzo Medio fino all’età romana, che venivano tutti regolarmente esplorati e documentati, grazie all’impegno finanziario della SNAM stessa e alla professionalità della Cooperativa Archeologia; nel 1997 i saggi diagnostici eseguiti con il fondamentale concorso del Commissario ad Acta della Regione Toscana rivelavano a Casa del Lupo un ordito di opere di bonifica, d’età etrusca, romana e medievale, che dà una profondità e uno spessore ambientale all’insediamento nella piana di Lucca difficilmente riscontrabile in altri contesti paesaggistici.
Oggi la piana compresa fra l’estremo lembo della campagna lucchese e il cuore della bonifica di Bientina, come è stato riconosciuto dal decreto ministeriale che la sottopone alla tutela della Legge 431, è custode di un patrimonio archeologico eccezionale non tanto per le singole testimonianze, quanto per la possibilità di cogliere, pressochè tutti gli aspetti dell’insediamento antico (ma anche medievale, rinascimentale, moderno) in relazione con il paesaggio, naturale e antropico, in un palinsesto in cui è ancora possibile, però, ‘sfogliare’ le singole fasi, in un intreccio che se oggi è forse comprensibile solo a pochi, è nostro preciso compito conservare per le generazioni future.

Relazioni scientifiche

Gli aspetti archeologici



Prof. MICHELANGELO ZECCHINI
Direttore di Scavo a Fossa nera

Sovrintendenza Archeologica della Toscana


Non è senza emozione che mi accingo a fare questa estrema sintesi dei ritrovamenti degli ultimi tredici anni che sono stati resi possibili grazie a un apporto sinergico di istituzioni e di volontariato locale; quando due anni fa’ un avvocato lucchese, l’Avvocato Sciacca, scriveva sui quotidiani locali che prevedeva in tempi non lunghissimi un parco archeologico-naturalistico della Piana di Lucca io pensavo che sognasse: bene, in questo momento comincio a sognare anch’io.
Dal VI secolo d.C. in poi la Piana fu occupata da un lago di estensione variabile, il cosiddetto Lago di Sesto o Bientina, che nascose fino al 1850 circa, epoca della Bonifica granducale che nascose tutti gli insediamenti archeologici del territorio, ma dai documenti d’archivio del 1500, del 1600, del 1700, troviamo degli scritti simpatici: la gente del posto, i pescatori, che andavano a pescare sul lago, nelle giornate in cui l’acqua era più limpida, vedevano un po’ dappertutto dei ruderi tanto fitti da far nascere la leggenda di una città di Sextum: si legge di qualcuno che andava a pescare in piazza della chiesa, o nella via tale. Quando il lago fu prosciugato i resti furono visti ma non ci si rese conto di che cosa fossero. Raccontano degli anziani che fino agli inizi del nostro secolo andavano a fare merende all’interno di questi ruderi di epoca romana che si elevavano ancora per tre o quattro metri. Poi purtroppo l’azione devastante degli aratri ha buttato giù gli elevati, ma di almeno un centinaio di queste ‘fattorie’ o insediamenti di epoca romana siamo ancora in grado di leggerne la planimetria. A partire dal 1987, grazie all’interessamento del Comune di Porcari (per i tempi imprevedibile per le ben altre mire sul territorio non proprio culturali, immondezzai e discariche di vario genere, che sono state stoppate grazie all’intervento istituzionale della Sovrintendenza Archeologica della Toscana) lo scavo a Fossa nera A ha portato in luce le tracce di una fattoria tardorepubblicana che nasce nel 150 a.C. e termina la sua vita intorno al 400 d.C.. Enormi i risultati di interesse scientifico: gli scavi hanno dimostrato che nella prima fase, fino almeno al 30 a.C., gli abitanti vivevano di viticoltura, una cosa impensabile per gli archeologi in quanto si supponeva che il vino arrivasse dalla Campania o dal Lazio: questo è dimostrato dal ritrovamento di un palmento con pavimento a cocciopesto collegato attraverso un tubo fittile ad una piccola vaschetta di raccolta, un tinetto esterno, in ceramica sul fondo e cocciopesto alle pareti, conservato in maniera spettacolare. Fra le strutture messe in luce, un pozzo risalente alla seconda fase di vita della fattoria (40-30 d.C.), profondo 3,5 metri, scavato dagli archeologi interamente dall’interno. Tra i tanti oggetti ritrovati, monete tardo repubblicane, una lucerna, lanx in terracotta di uso comune, vasi in terra sigillata italica, olpai risalenti al IV-V secolo, ritrovati nel pozzo, che indicano il momento in cui la fattoria è stata abbandonata ed in cui il lago ha cominciato ad espandersi.
Sotto la fattoria romana c’era un villaggio etrusco, con silos per le granaglie della prima metà del V sec. A.C..
Nel 98 abbiamo concluso gli scavi nella fattoria di Fossanera A ed abbiamo intrapreso i lavori nella fattoria molto vicina, continuo a chiamarle fattorie ma ci stiamo rendendo conto che si tratta di insediamenti diversificati, con una storia assai complessa che stiamo appena cominciando a intravedere.
Sono subito stati evidenziati muri molto potenti, da 90 a 1,10 metri di spessore, tracce di barbacani, la posizione a sud dell’Auser con il Nord protetto dal fiume, elementi che ci hanno lasciato subito perplessi, perché pensavamo che le cento fattorie romane fossero tutte, chissà perché, a immagine e somiglianza di Fossa Nera A. Niente di tutto questo. Come sanno gli addetti ai lavori, le prime campagne di scavo creano molti più problemi di quanti non ne risolvano: si formulano delle ipotesi che vanno poi verificate negli interventi successivi. Pero già dai primi dati siamo autorizzati a pensare di essere di fronte a qualcosa di diverso, di enormemente più vasto rispetto a Fossa Nera A (calcolata in circa 1600mq, mentre FN B è cinque o sei volte più grande). Speriamo negli anni futuri di capire veramente di che cosa si tratta. Gli elementi raccolti ci permettono di pensare ad una fattoria fortificata, secondo esempi conosciuti nel mediterraneo, o addirittura di uno di quei castella di cui parla Livio nelle sue Storie in più occasioni e che noi non sapevamo che cosa fossero. Durante lo scavo è venuto in luce un bel pavimento a tessere di laterizio quasi di tipo urbano che si può datare intorno al 40-30 a.C. e quindi attribuire alla seconda fase di vita dell’insediamento. Tra gli oggetti due coppette in terra sigillata tardo italica databili intorno al 100 d.C., pesi da stadera in piombo configurati ad anforetta, un’applique in bronzo massiccio che forse faceva parte di una situla.
Si tratta, insomma, di due fattorie che abbiamo cominciato a scavare, da aggiungere a quelle sulle quali ha fatto dei saggi il Dottor Ciampoltrini, ma ce ne sono un’infinità, più di cento sicuramente: le nostre indagini con rilievi fotogrammetrici e con l’esplorazione sul terreno sono state molto puntigliose, ma non possiamo pensare di conoscerle tutte.
Sulle sponde opposte dei diversi rami dell’Auser nascono decine e decine di insediamenti etruschi e romani, con le strutture connesse, le strade, i ponti, con oggetti della vita quotidiana, ma anche oggetti ben più prestigiosi, come gli esempi di oreficeria etrusca del 470 a.C. trovate nel secolo scorso in territorio di Capannori, fra le più ricche e le più prestigiose dell’intera Etruria. Ma, oltre gli etruschi, ci sono i villaggi di tipo terramaricolo dell’età del bronzo a 2,5-3 metri di profondità, alcuni già saggiati che testimoniano di fitti commerci con la padania.
Quando qualcuno parla di questo territorio come Pompei rurale o Scrigno archeologico credo che non usi un’iperbole.

 RELAZIONI SCIENTIFICHE

Gli aspetti archeologici



Dott. ANTONELLA ROMUALDI
Direttore Archeologico
Parco Archeologico Naturalistico di Baratti-Populonia

Sovrintendenza Archeologica della Toscana


Ringrazio il Sindaco di Porcari, le Amministrazioni locali e gli organizzatori del Convegno e, soprattutto l’amico e collega Michelangelo Zecchini e Giulio Ciampoltrini della Soprintendenza, che da anni lavora nella zona suscitando l’invidia dei suoi colleghi per la sua puntuale resa scientifica dei risultati e per il suo lavoro capillare di tutela e valorizzazione.
Credo che il significato della mia presenza sia quello di portare un contributo relativo all’esperienza del progetto del Parco archeologico e naturalistico di Baratti-Populonia, la cui progettazione risale alla fine degli anni settanta, ma che è stato inaugurato al pubblico molto recentemente, nel luglio 1998.
Devo fare subito una premessa sul termine naturalistico, che io e altri responsabili scientifici di tutta la complessa vicenda abbiamo cercato di salvaguardare in ogni modo, ma che poi al momento dell’inaugurazione del Parco è stato “cancellato” dalle amministrazioni locali contro la nostra volontà, proprio per sottolineare che un patrimonio come quello archeologico di Populonia è assolutamente inscindibile dalle valenze naturalistiche, dalla storia del paesaggio che è stato mutato e pianificato dall’uomo e dalle attività che vi sono state svolte; questo vuol dire anche una mancanza di collegamento con gli altri aspetti naturalistici del sistema dei parchi della Val di Cornia, parlo del Parco di Rimigliano, delle oasi faunistiche degli Orti Bottagone, credo che tutto questo nasca dal problema non del tutto risolto e regolamentato della caccia nel promontorio.
Il Progetto per il Parco archeologico naturalistico di Populonia rappresenta una sorta di modello d’intervento le cui caratteristiche principali sono state due: intanto un progetto coordinato di pianificazione delle risorse culturali fortemente voluto dai Comuni della Val di Cornia che fin dagli anni settanta hanno proceduto ad una revisione coordinata dei propri PRG in modo da istituire un ‘sistema di parchi musei’, per citare le parole dell’Urbanista Paolo Insolera a cui si deve principalmente il disegno dello scheletro portante del sistema dei parchi che ancora oggi resiste e su cui lavoriamo tutti; l’altra caratteristica è stata quella di una progettazione che ha visto collaborare strettamente le forze locali, l’Associazione archeologica piombinese, in primo luogo con il Presidente Fabio Fedeli a cui si devono le innumerevoli battaglie condotte insieme alla Sovrintendenza nel corso degli anni per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio di Populonia, le Amministrazioni Comunali e la Sovrintendenza Archeologica della Toscana nel suo ruolo di organo preposto alla tutela ma anche alla ricerca e al suo coordinamento.
La parte del promontorio che guarda l’Isola d’Elba, l’approdo di Cala S. Quirico e Buca delle Fate, una zona ancora inesplorata, negli ultimi tempi ha dato qualche sorpresa come il ritrovamento di una necropoli probabilmente tardo arcaica, con sepolture a pozzetto, riferibile ad uno dei nuclei degli abitati sul Poggio della Guardiola di cui ancora non sappiamo niente.
Non ho bisogno di sottolineare l’importanza di Populonia, il ruolo svolto come avamposto di un territorio ricco di risorse minerarie ma anche agricole e strettamente legate all’entroterra, all’Isola d’Elba e anche alla sua valenza di porto approdo naturale che nell’antichità ha costituito uno scalo obbligato per tutte le rotte commerciali del bacino del Mediterraneo; a proposito dell’Elba, uno dei limiti della progettazione dei parchi della Val di Cornia è proprio quello di non essere ancora strettamente collegato all’Isola, assolutamente inscindibile dalla storia di Populonia.
Dopo gli scavi tumultuosi condotti per il recupero delle scorie, è solo con la fine degli anni settanta che si hanno i primi interventi di scavo governativo ma al seguito della concessione rilasciata dallo Stato a varie società per il recupero delle scorie antiche che ricoprivano la necropoli di S. Cerbone; i primi scavi che seguivano un progetto di ricerca sono stati quelli dei Cristofani nella zona industriale della città, nel quartiere dove si svolgevano le attività di trasformazione del minerale e dove dovevano essere le officine metallurgiche; dagli anni ottanta la Sovrintendenza ha portato avanti un progetto ampio di ricerca che comprendeva le linee principali delle problematiche scientifiche di Populonia, la formazione della città (con lo studio del popolamento tra il decimo secolo e l’età del ferro, ricerche condotte sugli importanti insediamenti della parte settentrionale del golfo da Fabio Fedeli con le risorse finanziarie della Sovrintendenza), poi gli scavi sull’acropoli (con la messa in luce dell’abitato della zona dei santuari e dei templi visti da Strabone e la messa in luce del sistema delle mura di cinta con saggi di approfondimento per la datazione e l’interconnessione fra le due cinte murarie) e il progetto che riguardava la storia di Populonia in epoca romana e le dinamiche d’insediamento nel golfo e sull’acropoli condotte dall’Istituto di Archeologia dell’Università di Firenze con il Professor Saladino.
Dopo la progettazione dei parchi negli anni ’80 nell’84 ad un Convegno internazionale sul tema dei Parchi da un punto di vista della pianificazione del territorio, degli strumenti urbanistici e dello stato della ricerca, il Parco di Populonia era stato dichiarato all’avanguardia a livello nazionale; poi ci fu un periodo di ‘rimessa’ in quanto non si trovavano le risorse per finanziare un progetto che comprendeva tutto il promontorio e si estendeva al di là della strada della Principessa, nell’entroterra agricolo e alle pendici del sistema collinare con le miniere. Negli anni ’90 , anche a seguito delle scoperte del collega Riccardo Francovich alla Rocca di S. Silvestro e all’azione del reperimento delle risorse molto attiva condotta soprattutto dal Comune di Campiglia Marittima, i Comuni della Val di Cornia erano riusciti ad ottenere risorse della Comunità Europea per realizzare il Parco della Rocca di S. Silvestro. Contemporaneamente i Comuni decisero di affidare ad una società mista a capitale pubblico-privato a prevalenza pubblica, la Società Parchi Val di Cornia, la realizzazione e la gestione dei Parchi.
L’impulso partiva da uno scavo esemplare condotto sul castello medioevale; nel 93 la Società Ã¨ costituita e comincia lo studio e la progettazione del Parco archeonaturalistico di Populonia.
Mi preme soffermarmi sugli scavi dell’Acropoli perché questo progetto è frutto di una ricerca sistematica condotta nel cuore dell’agorà di questa grande città etrusca, avviato dalla Sovrintendenza , ma che adesso, per fortuna, vede anche la collaborazione delle Università della Toscana e dell’Associazione Culturale Amici di Populonia.
L’intervento per la realizzazione del Parco ha riguardato un settore abbastanza ristretto rispetto al piano originario, quindi quello attualmente aperto al pubblico è uno stralcio del progetto che rimane comunque allargato all’intero promontorio, compresa la parte settentrionale. I lavori hanno riguardato soprattutto la zona delle necropoli, la parte demaniale di circa dieci ettari aperta al pubblico, allargata alla zona del Conchino, la zona del Campo 6 (un settore delle decine e decine di ettari ricoperte dal quartiere urbano, dalla città bassa, dalla città marittima dove si lavorava il ferro), la necropoli delle grotte; naturalmente la nuova zona aperta al pubblico delle grotte era quella che si poteva attrezzare in un tempo più breve rispetto al Campo 6 e alla zona della città marittima; i lavori per il recupero delle scorie è stato devastante, per cui adesso abbiamo decine di ettari nel bosco dove vediamo spezzoni di muro con aspetto surreale e inquietante; tutto sommato, al di là di altri saggi che abbiamo fatto per la realizzazione del parco e che hanno confermato l’excursus cronologico già visto dei Cristofani nell’ambito dell’edificio industriale al Poggio della Porcareccia, dove sono state messe in luce è più chiaramente la relazione fra le mura di cinta ellenistiche e l’impianto degli edifici industriali, in realtà credo che sia più economico intervenire solo dopo un lavoro paziente e capillare di rilevamento degli spezzoni e dei lacerti di muro rimasti e degli strati antropici: solo riportando su carta o attraverso l’uso di programmi informatizzati potremmo capire qualcosa dell’impianto urbanistico della città, ritrovare forse lacerti di strade d’accesso che portavano all’acropoli, intravisti dal Minto e ora non più collocabili sulla pianta, in modo da programmare delle ricerche mirate in una zona così vasta.
Mi interessava mettere in luce i problemi che emergono adesso, ad un anno dall’inaugurazione del Parco, come quelli legati alla ricerca (un parco non può vivere senza ricerca e senza valorizzazione e conservazione di quanto è stato rinvenuto), il reperimento dei fondi necessari (la ricerca non può gravare solo sullo Stato, dato che la Società, giustamente, è molto attenta a restare società di gestione e non può investire più di quanto ricava dalla gestione del parco). Questo parco per il momento è ancora isolato, rischia di divenire una cosa che non è del tutto partecipe dei processi evolutivi di trasformazione complessiva del territorio; va fatto un lavoro di pianificazione urbanistica e implemento di tutto il territorio intorno, con il collegamento della zona di Baratti con la Zona di Piombino (un progetto portato avanti dall’Università di Siena), il collegamento con la zona di S. Vincenzo, con il Parco di Rimigliano, con la fascia che era l’entroterra lagunare della città fino ad arrivare alla creazione di una riserva marina, visto che nel golfo di Baratti vi sono le tracce dell’antico porto, della necropoli, ecc..























Relazioni scientifiche

Gli aspetti ambientali e paesaggistici



Prof. GIORGIO PIZZIOLO
Docente di Urbanistica e Pianificazione Territoriale

Università degli Studi di Firenze


Mi è stato richiesto di parlare delle prospettive per un Parco Naturalistico del Padule di Bientina: ho accettato molto volentieri, precisando che la questione di una sua pianificazione dovrà tenere conto di tutte le sue valenze: da quanto abbiamo finora ascoltato dalle relazioni precedenti, è chiaro che il Parco non è solo naturalistico, ma si tratta di un parco storico- archeologico- naturalistico ed il parco quindi  deve essere concepito in tutta questa sua complessità. Cercherò inoltre di introdurre nel mio intervento ulteriori valenze di complessità e di arricchimento.
 Considererò alcuni punti, il primo dei quali è relativo alla potenzialità ed al valore scientifico del parco; che il parco abbia un grande valore scientifico dal punto di vista archeologico, penso che sia fuori di  dubbio; mi permetterei anche se non sono archeologo, di cogliere un aspetto interessante dal punto di vista territoriale: se guardiamo la carta degli insediamenti antichi conosciuti, vediamo che sono tutti situati lungo il fiume o sulle rive  dell'eventuale  lago:  questo  sembrerebbe  far  immaginare  una  "urbanistica  antica" che prevederebbe una navigabilità di queste acque e che conseguentemente questa zona sia stata economicamente così ricca perché forse essa era il punto di scambio fra il vettore barca e il vettore trasporto a piedi o con i muli; potremmo così chiamarlo un punto di "intermodalità antica". Tutto questo insieme di insediamenti lascia intuire una portualità diffusa lungo l'asta del fiume, non un unico approdo, un vero e proprio porto, ma una struttura portuale diffusa (L'assenso del Prof. Zecchini mi convince che questo può essere un interessante tentativo di rileggere l'urbanistica antica).
 Parallelamente, anche dal punto di vista naturalistico e dei sistemi ecologici, ci troviamo in un nodo importante, perché  ci troviamo ad essere in un punto di contatto fra il sistema della pianura e il sistema della montagna, in una di quelle fasce di aree di contatto, che ecologicamente sono chiamati ecotoni, e cioè aree di scambio e di interfaccia fra sistemi ambientali.
Su questa base, si può individuare un valore, che terrei molto a sottolineare come valenza ulteriore della complessità del possibile nuovo parco, e cioè il valore del paesaggio come componente fondamentale dell' interpretazione ecologica del territorio.
Nel nostro caso, dunque, un paesaggio con una stratificazione storica straordinaria, un paesaggio delle acque, un paesaggio in continua trasformazione, dove l'uomo si è trovato inserito, per così dire  immerso insieme alla mutazione geografica e che in qualche periodo l'ha addirittura influenzata: Troviamo così prima il paesaggio "del fiume a meandri" con l'Auser affluente dell'Arno (la navigazione avveniva dal mare, risalendo  l'Arno da Pisa, tanto che addirittura si potrebbe ipotizzare un contatto con Populonia attraverso le antiche vie del ferro);
troviamo poi, il "paesaggio del lago", dell'impaludamento e successivamente del lago, che si sviluppa nel tardo impero e medioevale con insediamenti storici di grande pregio, abbazie, chiese romaniche, sistemi di ville, viabilità del pellegrinaggio;
troviamo poi ancora i "paesaggi della bonifica" medicea e lorenese;
ed infine troviamo, quindi, i "paesaggi attuali", forse tra i più poveri che si siano visti nella storia, di  questo territorio.
E qui lancerei la proposta, che poi approfondirò, della creazione di 'nuovi paesaggi', per esempio con ipotesi di riallagamenti che potrebbero così dare luogo ad una modificazione ulteriore del paesaggio in ambito di parco.

I fattori della naturalità saranno affrontati meglio dal prof. Tomei, salvo dire che nell' ambito dell' alveo dell' ex- lago di Bientina ci sono dei valori ambientali straordinari, quasi episodici purtroppo ed ormai molto limitati, però di grande significato testimoniale in senso scientifico- paesistico.

 Abbiamo quindi tre valori: il valore storico, il valore archeologico, il valore naturalistico, ai quali possiamo aggiungere un quarto valore, quello del paesaggio, e con essi, tutti insieme,  possiamo dare luogo ad una nuova fase di sviluppo economico del territorio.
Possiamo infatti immaginare di introdurre una nuova ulteriore differenziazione economica tra le attività di questo territorio, una attività non riferita solo all' agricoltura industrializzata o al  sistema industriale dislocato lungo l'autostrada, ma che invece punti su una valenza culturale, paesistica e, turistica di grande significato.
Si creerebbe insomma, una possibilità di variazione e differenziazione economica importante per il territorio, con una economia che se rimanesse monocolturale sarebbe anche pericolosamente esposta alle variazioni del mercato, con pesanti conseguenze, sia sociali che territoriali.
 Da urbanista vedo poi una  ulteriore valutazione di carattere urbano-territoriale, secondo me addirittura una necessità:
 davanti alla continua crescita della struttura metropolitana che va da Livorno a Firenze lungo la valle dell'Arno e all'altra che sempre da Firenze passa per Prato e Pistoia e quindi va da Montecatini, a Lucca fino a Viareggio, in presenza di queste due direttrici  che costituiscono ormai due insediamenti quasi continui fra residenze, fabbriche, autostrade, insediamenti che hanno dei grossi problemi interni di qualità della vita, (basta pensare a S. Croce, e a tante altre zone della stessa Lucchesia, nonché ai progetti in corso che vedono un'intensificazione molto pesante di questi insediamenti) dovremmo impedire in ogni caso che i due sistemi metropolitani si saldino tra di loro, per esempio anche attraverso l'alveo del Bientina.
Viceversa bisognerebbe immaginare urbanisticamente un grande sistema verde che faccia da separatore fra i due sistemi e che in qualche misura serva a garantire ai due sistemi urbani quello spazio vitale indispensabile per la sopravvivenza delle persone.
 Credo che la zona del Bientina abbia un ruolo strategico urbanistico, per cui l'idea di strutturarla in "parco", oltre che affidargli un ruolo di tutela dei valori ambientali, le faccia assumere anche una funzione di  struttura di impedimento della saldatura urbana e garanzia invece di una più alta qualità della vita,  per le popolazioni oggi rivierasche dell' ex- alveo, da quelle di S Croce da un lato, di Altopascio dall'altro, e del comprensorio  "Lucca - Pisa".
 C'è però un elemento importante da chiarire: la praticabilità di tutta questa operazione.
 Di fronte alla parola parco c'è un'immediata reazione di diffidenza, un'ostilità diffusa: si potrebbe dire: "beata quella nazione che non ha bisogno di parchi" perché è segno che il suo territorio già di per sé funziona ed è in equilibrio, ma noi siamo purtroppo in una fase in cui abbiamo ancora bisogno di parchi, per cui credo che sia indispensabile avanzare anche per il nostro "parco delle cento fattorie", un'ipotesi di fattibilità.
 Per venire incontro alle diverse esigenze, e per affrontare la questione della fattibilità, faccio allora una proposta precisa:
 l'apertura di un "parco di tipo processuale", che si costruisca cioè nel tempo, e che sia "partecipato", cioè organizzato con il coinvolgimento progressivo e diretto della popolazione.
Infatti,  non credo che si possano imporre i parchi dall'alto, ma credo che si debba invece arrivare ad una loro progressiva costruzione, attraverso un dibattito ed una progressiva convinzione della popolazione interessata, fenomeni tutti che hanno bisogno di tempo; nel nostro caso, penso che occorrano tre anni, almeno, durante i quali costruire insieme alla popolazione questa ipotesi, potendo contare su di una salvaguardia urbanistica, durante questo periodo, che impedisca di compromettere l'area.
Durante questo periodo si potrà allora lavorare per il parco, in particolare sviluppando un' attività strategica, quella di "creare scenari alternativi": ecco da dove può nascere l'idea dei nuovi paesaggi!
Ad esempio, (e lo indico come possibilità, tanto per stimolare la vostra riflessione),si potrebbe immaginare di alberare i vecchi corsi dei fiumi, ed analogamente le antiche rive del lago, per creare una visione immediatamente percepibile del loro antico andamento, per evocare così un paesaggio antico e creare un paesaggio contemporaneo, e per potere quindi collegare tutte le strutture archeologiche fra di loro: 'progettare' dunque un fiume verde, invece che azzurro, dal momento che l' antico alveo dell'Auser sotto è ancora presente, con una operazione paesaggistica che permetterebbe anche la tutela del corpo idrico sotterraneo.
Complessivamente, occorrerebbe allora, per 'costruire' il parco nei tre anni che abbiamo detto, allestire delle sperimentazioni paesaggistiche, incentivare le attività di scavo archeologiche, mettere in evidenza tutti i valori naturalistici, immaginare un turismo sperimentale, ed infine sviluppare una fase di educazione, portata avanti con le scuole, con le associazioni e con la continua discussione tra il pubblico: un'operazione parco, insomma,  da costruire in tre anni con la partecipazione di tutti quelli che ci stanno.
 Si dovrebbe, per finire, andare ad un accordo quadro di Programma tra tutti gli Enti, che faccia da quadro di riferimento e che coinvolga tutti, garantendo con ciò qualsiasi cittadino.


In conclusione (quasi una piccola provocazione): mi  sembra di aver lanciato un'idea che non è scontata: l'idea di un "parco partecipato", da costruirsi "in itinere", seguendo cioè un processo regolato, e  all' interno del quale si possono già intraprendere tante azioni economiche e culturali diverse; tra le altre, un'azione che prima  non ho citato, potrebbe essere anche quella di un'agricoltura di qualità, diversa dall'unica agricoltura che oggi si pratica su questo territorio, quella di tipo massificato-tecnologizzato; nel momento in cui si costruisce un parco, potrebbe invece essere avviata un'agricoltura di qualità, in una prima fase anche non rigidamente biologica, che potrebbe comunque avere immediatamente dei risultati economici superiori a quelli praticati oggi.
Questa è un'area pubblica, in gran parte: allora mi sembra che esistano tutte le condizioni per poter fare il passo della proposta del "parco partecipato". 
Sarebbe allora interessante capire se, da parte degli amministratori e da parte del pubblico,  si fosse d'accordo nel lanciare una proposta di parco archeologico, agricolo, urbanistico, naturalistico, paesistico, che veda protagonisti le scuole, le associazioni, e le altre strutture, pubbliche e anche private (regolamentate), che si rendessero attive dentro questo processo di realizzazione del parco, una volta che si fosse deciso - con un accordo di Programma, sulla base di un progetto di fattibilità- che nel giro di tre anni questa ipotesi si debba portare in fondo e se quindi ci si doti di un protocollo d'intesa che intanto stabilisca, anche nei confronti dei due PTC per esempio, delle salvaguardie precise, non fini a sé stesse, nel confronto dei valori esistenti, in funzione dell 'operazione "costruiamo, insieme, il Parco".




















Relazioni scientifiche

Gli aspetti ambientali e paesaggistici



Dott. MARIANO PUXEDDU

CNR di Pisa


Sono anni che, prima come socio di Italia Nostra e poi come presidente del Circolo di Legambiente di Lucca, mi occupo dei problemi di tutela dei beni culturali e ambientali della lucchesia; cominciai dieci anni fa’ contro i progetti dei parcheggi sotterranei sotto gli spalti delle mura di Lucca e contro la complanare.
Oggi siamo qui a parlare di parco grazie a un progetto assurdo di un inceneritore previsto a Casa del Lupo, in una parte abbastanza periferica di una zona definita di interesse archeologico dalla Sovrintendenza archeologica della Toscana, che aveva proposto una perimetrazione poi recepita dalla Provincia e inviata alla Regione il 20 marzo del 91.
L’iter abbastanza farraginoso di approvazione, per cui il vincolo sarebbe entrato in vigore non appena la Regione avesse dato corso alle sue procedure di legge, ha consentito che questo non verificasse per nessuna provincia toscana, tanto che le perimetrazioni inviate sono rimaste lettera morta.
Chiedemmo al Presidente di Italia Nostra di allora, Floriano Villa, di firmare una diffida per impedire che il progetto inceneritore andasse in porto; la Conferenza dei Servizi ignorò completamente la diffida e le cose andarono avanti. Pensammo allora che fosse importante coinvolgere le Sovrintendenze e scoprimmo con grande sorpresa che in Conferenza dei Servizi le due Sovrintendenze di Pisa e di Firenze erano state completamente ignorate. Cominciò allora un lungo carteggio per mettere al corrente le Sovrintendenze sulla volontà della Regione di costruire un inceneritore in zona archeologica; bisogna fare i complimenti ai due Sovrintendenti, Dottor Nicosia e all’attuale Dottor Angelo Bottini, all’ispettore di Zona, Dottor Ciampoltrini, e, a livello centrale, al Dottor Proietti, perché sono stati inflessibili nel cercare di fermare il progetto.
Le problematiche che ci spingevano non erano solo di tutela dei Beni culturali e ambientali, ma anche di difesa di questo territorio da un inquinamento tanto folle, come ha rivelato lo studio del Dottor Barale condotto sui licheni, da far competere questa parte della Lucchesia con Porto Marghera, per esempio. Questa zona è tra l’altro nota per avere una percentuale di tumori nettamente superiore alla media toscana e nazionale. Uno studio fatto per la Regione Veneto pubblicato su Nature nel 92 da Nimis e Ceslaghi mostra una perfetta corrispondenza statistica fra degrado ambientale denunciato dai licheni e incidenza dei tumori al polmone. Tra l’altro in questa zona, a nord dell’autostrada, ci sono due tra le cartiere più grosse d’Europa, due stabilimenti di trattamento di rifiuti tossiche nocivi, un depuratore; mancava soltanto l’inceneritore. Per fortuna poi la Sovrintendenza ha attivato la procedura di sostituzione prevista dalla legge dello Stato nei confronti di una Regione inadempiente ed ha apposto il vincolo, sancito da un decreto ministeriale del 3 giugno 97, pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 26 agosto 97.
Nel frattempo avevamo mosso anche l’Accademia dei Lincei, che già era intervenuta nel per la questione dei parcheggi sotto le mura di Lucca; come ex allievo della Scuola Normale, mi misi in contatto con il Professor Radicati e con il Professor Pugliese Caratelli, i quali presentarono un bellissimo documento, prima ancora che venissero fatti i saggi di scavo nel giugno-luglio ’97, nel quale denunciarono i tentativi di distruzione dei ben 70 mila metri quadrati di un tessuto paesaggistico risalente all’epoca della ricolonizzazione agraria tardo rinascimentale che avrebbero rischiato di danneggiare irreparabilmente la vasta area dell’ex lago di Bientina, luogo di eccezionale importanza archeologica, per le vestigia di centuriazione e l’esistenza lungo le rive dell’Auser e dei suoi affluenti di molti insediamenti protostorici, etruschi e romani.
Sappiamo tutti come è andata a finire: sono state trovate delle canalizzazioni romane del I e II secolo che hanno permesso l’apposizione del vincolo della 1089 che ha praticamente blindato l’area e impedito quel processo di erosione che sarebbe probabilmente continuato con la costruzione di una discarica, di un capannone industriale, e così via.
Credo che la vocazione della Lucchesia sia ben diversa: la Lucchesia ha un patrimonio straordinario, sia come centro storico sia come territorio intorno; ha una tradizione straordinaria in campo musicale, non solo nella cucina, ha insomma una vocazione turistica; dovrebbe potenziare l’agriturismo, le colture tradizionali di qualità (l’olio e il vino lucchesi sono abbastanza conosciuti e famosi) e già ora esiste un notevole afflusso di stranieri che vengono a godere di tutte queste caratteristiche; un aspetto che andrebbe incrementato, piuttosto che puntare sullo sviluppo industriale, a meno che non si vogliano mettere delle industrie non inquinanti e con un alto contenuto tecnologico.
La parola parco non deve spaventare la gente, perché nel Parco d’Abruzzo, per esempio, il successo è stato clamoroso, al punto che qualche anno fa’ si scoprì che il Comune italiano con il più alto tasso di depositi bancari era il paesello di Civitella al Fedena, nel Parco d’Abruzzo; c’è stata insomma una ricaduta benefica che potrebbe verificarsi anche nel nostro caso.






































 

 

Interventi



Dottor ANGELO BOTTINI

Sovrintendente Beni Archeologici della Toscana


Non credo sia necessario sottolineare l’importanza intrinseca dei rinvenimenti archeologici dell’area del Bientina e di Fossa Nera in particolare; mi preme invece mettere in risalto la bontà del metodo seguito che procede dalla realtà locale e si apre a coinvolgere le competenze diverse. Mi sembra estremamente importante considerare le forme di tutela giuridica e l’apposizione di vincoli come cornice in cui calare l’attività di ricerca.
La Toscana non è solo Medioevo e Rinascimento: l’emergere di situazioni straordinarie, per cui è stata giustamente utilizzata la definizione di ‘Pompei’ che appare certamente appropriata sia nel caso del ritrovamento delle navi e del porto romani a Pisa, sia nel caso delle fattorie romane della Piana di Lucca, dimostra la straordinarietà delle risorse che allargano i confini del già vasto panorama archeologico della Toscana.



Dottor GUGLIELMO MARIA MALCHIODI

Sovrintendente BAAAS delle Provincie di Pisa, Lucca, Livorno, Massa Carrara


Vengo a testimoniare l’interesse della Sovrintendenza BAAAS che rappresento, e mio personale, alla giornata odierna in cui si presenta il progetto di un parco archeonaturalistico.
Un parco è una struttura delimitata e definita: mentre si studia e si parla di un parco, all’interno del quale ci sono presenze archeologiche che coprono un arco di tempo di 1200 anni, dal VII a.C. al V d.C., sempre in Provincia di Lucca si stanno studiando i Beni Paesistici, cercando di individuare quali sono quegli edifici, quegli insediamenti sul territorio e nel paesaggio che sono rimasti nonostante tutte le trasformazioni succedute nel tempo; mi chiedo perché non si possa considerare in un contesto unico tutto quanto è successo dalla preistoria ad oggi nella sua evoluzione (non fermarsi solo al parco che in fondo congela una situazione, ma andare avanti fino a saldarsi ai giorni d’oggi); lo studio delle evoluzioni del territorio ad una certa scala e approfondendo agli edifici, agli oggetti, a tutte le testimonianze materiali o scritte che raccontano il rapporto fra il territorio e l’artificio umano (che in queste zone è stato continuo), lo studio delle trasformazioni e delle permanenze delle forme del territorio (e degli oggetti che contiene) danno delle indicazioni storiche, pratiche; so per esperienza che certi problemi nel tempo sono stati risolti allo stesso modo con le stesse tipologie, con le stesse forme, per lunghissimo tempo, in tanti campi. Questo dato dell’esperienza , che è in fondo l’oggetto di tutela, aiuta a immettere l’esperienza del passato nella progettazione dell’immediato e del futuro: in sostanza tutela e valorizzazione possono confluire nell’urbanistica, nel governo del territorio, nella valorizzazione del territorio. Occorre fare quel piccolo salto in più e passare da un parco in cui si conservano e si studiano aspetti naturalistici rimasti abbastanza inalterati e testimonianze archeologiche per rinsaldare spazio, natura, ecc., un salto nel tempo, demitizzando tutto ciò che fino a poco tempo fa’ è stato l’aspetto estetico, di godimento dell’arte, della forma, passando da un senso estetico ad un senso pratico, che consenta di mettere insieme Sovrintendenze, Enti territoriali, quello che in fondo sta succedendo, e che per lungo tempo è rimasto sepolto per difficoltà e incomprensioni, in un’opera di maggior coordinamento.


GAIA PALLOTTINO

Vice Presidente di Italia Nostra


Da vent’anni Italia Nostra ha su questo eccezionale luogo dove natura e cultura si fondono in maniera così mirabile un interesse particolare. Ringrazio il Professor Attilio Tongiorgi, Presidente della Sez. di Italia Nostra Altopascio, che da tempo lavora per la tutela, la salvaguardia e la valorizzazione di quest’area interessantissima e mi fa piacere in un certo modo rivendicare l’apporto che Italia Nostra ha dato anche per l’intervento da parte del Ministero dei beni Culturali per un vincolo di 431 in quest’area compresa in una zona che ricade sotto molti Comuni e sotto due Provincie; questo mi fa pensare che bisogna lavorare nella direzione di costituire una sorta di consorzio, di accordo di programma fra tutti gli Enti coinvolti, al fine di fare un programma per la costituzione di un parco archeologico-naturalistico il più possibile partecipato, anche se il Comune che oggi si presenta come capofila ha il grandissimo merito, con il Convegno, di portare una pietra in più nella direzione della costituzione del parco. L’anno scorso la Sez. di Altopascio fece un tentativo per creare un organo di coordinamento: bisogna andare in quella direzione, per non rischiare di fare delle cose che poi si sovrappongano e che non riescano ad attivare anche dei flussi finanziari consistenti, necessari alla costituzione del parco: penso ai fondi europei che non sono spesi adeguatamente in Italia e che potrebbero essere attivati in questa zona. Devo dire con grande piacere che da parte degli Enti Locali c’è voglia, interesse, entusiasmo, nel rivendicare la tutela, salvaguardia e valorizzazione del proprio patrimonio storico, artistico, archeologico. Purtroppo non è sempre così, ma laddove gli Enti locali hanno la voglia e il vanto di rivendicare la propria identità culturale, bisogna essere dalla loro parte e aiutarli in tutti i modi a trovare i flussi di denaro necessari.
Italia Nostra farà il proprio Congresso dei Soci nei prossimi giorni; il giorno 19 ci sarà un Seminario sulla Biodiversità del Paesaggio agrario storico, da cui potranno emergere indicazioni su come utilizzare i flussi finanziari che l’Unione Europea dedica a sostegno della 2078, la Direttiva europea a sostegno dell’agricoltura e di tutti i manufatti legati ad essa. Immagino che nel Padule di Bientina ci siano moltissimi segni degli interventi dell’uomo nel paesaggio agrario storico che meriterebbero di essere conservati: si potrebbe lavorare ad un parco naturalistico-agrario-archeologico.
Italia Nostra ha istituito una commissione di lavoro sulla questione dei parchi archeologici, che, al di là del numero, presentano problemi veri; la 394 è una Legge un po’ ambigua, anche se nell’articolato si parla dell’opportunità di interventi del Ministero dei Beni Culturali insieme al Ministero per l’Ambiente, nei parchi italiani, anche solo naturalistici, dove le preesistenze archeologiche, i centri storici, sono numerosissimi, i problemi sono irrisolti: penso allo scandalo della proposta di legge per il parco di Agrigento dove non si capisce più qual’è il ruolo della Sovrintendenza; se il parco archeologico viene disegnato in modo che poi il Sovrintendente siede nell’ente di gestione come uno fra tutti, è ovvio che Italia Nostra , che è sempre stata dalla parte del sostegno della cosa pubblica e dell’operato della Sovrintendenza, è assolutamente in disaccordo.
Di questo si è parlato recentemente a Roma, alla conferenza sul paesaggio, dove una sessione tematica è stata dedicata interamente all’archeologia, al paesaggio archeologico e ai parchi archeologici. Sarebbe interessante vedere cosa il Testo Unico in materia di disposizioni per i Beni Culturali dice sui parchi archeologici, sarebbe interessante vedere cosa dice il Bassanini/ter, il 112, sull’importanza del fatto che i parchi archeologici siano strettamente legati al loro ambiente, che venga valorizzato il loro ambiente.
Concludo dicendo che Italia Nostra ha inserito il sostegno all’ipotesi del Parco del Bientina nel proprio programma triennale e si adopererà per operare di concerto con i sindaci e la Sovrintendenza per la realizzazione di questo progetto; mi farebbe piacere che Tongiorgi e Zecchini venissero a Firenze ad illustrare le problematiche relative alla salvaguardia di quest’area. Assicuro il nostro impegno, perché mi sembra che questa sia un’area molto particolare da tutelare in ogni modo.




Prof. FRANCO CAZZOLA

Assessore Regionale alla Cultura


Il ruolo della Regione nel settore dei Beni archeologici è estremamente semplice, ma contemporaneamente abbastanza impegnativo: la Regione non deve e non può occuparsi in prima persona di scavi; per questo ci sono delle autorità ben precise preposte che fanno il loro lavoro. Detto questo, non vuol dire che l’Ente Regione non debba collaborare per una promozione e un uso pubblico, una fruizione del patrimonio che di volta in volta viene alla luce; ovviamente anche in questo campo il ruolo della Regione non è un ruolo sovraordinato ad altri, nel senso che, forse ho una visione riduttiva, la Regione deve svolgere un ruolo di collaborazione e di sostegno a quanto da parte delle diverse autorità e delle diverse amministrazioni si ritiene di dover promuovere, all’insegna del metodo della cooperazione fra livelli istituzionali, fra soggetti.
Nel settore dei Beni archeologici io credo che il ruolo preciso, per scendere più nel concreto, sia quello di facilitare che i diversi territori regionali, le Amministrazioni della Toscana possano effettivamente organizzare e fruire del patrimonio archeologico che nel loro territorio o è venuto o sta venendo alla luce, in questo favorendo una politica di decentramento dei Beni archeologici; è inutile avere un patrimonio enorme di beni archeologici e tenerlo nei magazzini più o meno centrali o più o meno periferici. Questo il ruolo della Regione: favorire, facilitare, anche con interventi più diversi, anche con risorse, il riemergere nei vari territori dei patrimoni archeologici che provengono dagli stessi territori, quindi fare in modo che molto del patrimonio toscano diventi patrimonio dei toscani in primo luogo. In questo devo dire che la collaborazione con la Sovrintendenza ai Beni Archeologici, ma con le Sovrintendenze in genere, soprattutto negli ultimi tempi è diventata una collaborazione estremamente fattiva: ora si tratta di portare avanti in concreto questo lavoro e questa scelta di metodo di base; lavorando di nuovo in cooperazione per trovare quei supporti anche finanziari che nessuno di noi, singolarmente, può pensare di avere a disposizione. Faccio solo un esempio: le Sovrintendenze da sole non hanno le risorse finanziarie anche minimamente sufficienti per; gli Enti Locali, i Comuni, le Provincie, anche quelli meglio intenzionati, né da soli, né in un discorso di collaborazione, utilissima, di area hanno le risorse sufficienti; la Regione non ha né le competenze né, tantomeno, le risorse per intervenire in questo. Non sto perseguendo una politica del “perché siamo tutti poveri, mettiamoci insieme e saremo ricchi”, però partendo dalla considerazione che ciascuno di noi è povero se ci mettiamo insieme facciamo una ‘massa critica’ nei confronti di coloro che magari non sono ricchissimi, ma hanno ulteriori disponibilità finanziarie, e facciamo fronte comune nei confronti degli Uffici e in relazione ai programmi europei finalizzati al nostro discorso, favoriamo l’emergere il più possibile del patrimonio archeologico in Toscana, facciamo in modo che questo patrimonio venga fruito da un turismo interno ed esterno che sia sufficientemente intelligente da capire cos’è un parco, cos’è un bene archeologico, cos’è un bene culturale. Anche il discorso con l’Unione Europea diventa un discorso più intelligente e fattibile, perché diventa un discorso intersettoriale, di politica intersettoriale, che riguarda i beni culturali, ma non solo; non possiamo chiedere all’Unione Europea dei fondi per portare alla luce i beni archeologici per poi dimenticarli da qualche parte o rinchiuderli perché il bene archeologico è un bene da preservare. Certo è indubbio che senza memoria non si va lontano; contemporaneamente bisogna programmare, progettare e chiedere l’intervento della Comunità Europea perché, una volta fatto emergere il patrimonio dagli scantinati o dal sottosuolo, esso diventi anche uno strumento, una risorsa, per lo sviluppo economico, turistico e così via, a condizione che lo sviluppo basato sui beni culturali abbia anche la capacità, insieme alla salvaguardia del bene culturale, della salvaguardia del bene ambientale. In questo modo il progetto diventa un progetto Cultura-Ambiente-Turismo, dove nessuno di questi tre elementi è sovraordinato agli altri e nessuno può andare a scapito degli altri. Io non credo a un turismo quantitativamente significativo che però costituisce in termini di collettività un alto costo; cioè, preferirei che il turista che passa 22 minuti in una città d’arte medio-piccola rimanesse al di là dei confini del Granducato di Toscana, perché è vero che una marea di turisti con 22 minuti in una città d’arte sicuramente porta denaro per l’acquisto delle famose palline di alabastro o per il pezzo di pizza o la Coca-cola, ma contemporaneamente, in termini di inquinamento e in termini di consumo dei beni culturali e di qualità della vita, richiede un costo spaventoso da parte della comunità. E’ ovvio che non si devono chiudere le frontiere, ma è altrettanto ovvio che se vogliamo più turisti intelligenti, meno turisti ‘mordi e fuggi’, come istituzioni dobbiamo fare una politica integrata di educazione alla fruizione di un patrimonio complessivo, culturale, ambientale, paesaggistico, archeologico, ecc., di un certo tipo.
Il ruolo della Regione può anche essere di un altro tipo, ma deriva da quanto detto. Là dove esistono iniziative significative, sempre parlando del settore Beni archeologici, di organizzazione dei Beni archeologici da parte di Associazioni, Autorità preposte, Amministratori locali, il ruolo della Regione può essere di peso, nel senso di favorire, in rete, la comunicazione e la promozione di queste realtà; anche qui, è ovvio, con un soggetto destinatario ben definito, che è di nuovo il turista intelligente, se preferite togliamo il turista, il cittadino intelligente che deve essere messo nella condizione di sapere cosa c’è nei vari luoghi a disposizione; che quindi deve essere informato attraverso un’operazione di promozione in rete di ciò che esiste nei vari pezzi della Toscana. Questo per fare in modo che in Toscana, che ha tante zone ricche, possa essere raggiunto anche un altro obiettivo: non solo quello della valorizzazione dei tanti luoghi ricchi di beni culturali in senso lato, ma anche, è una speranza, quello di favorire una riduzione della concentrazione di turismo sui luoghi ovvii della cultura toscana,; anche questo permetterebbe una fruizione un po’ più umana dei luoghi ovvii, perché la massa enorme che si riversa su certi luoghi, in relazione a certe opere d’arte o beni culturali, in realtà permette uno scarso tempo di osservazione di fronte alla singola opera. Io faccio sempre riferimento in negativo a qualcosa avvenuto di recente; in negativo, perché non mi sembra questa la politica da perseguire. Sapete che recentemente a Firenze c’è stata l’esposizione di un noto quadro, che ha avuto un grandissimo successo di pubblico dal punto di vista quantitativo; non tutti coloro che volevano vedere questo quadro hanno potuto vederlo, a dimostrazione della ressa. La stragrande maggioranza delle prenotazioni per vedere il quadro erano di questo tenore: “cosa devo fare per andare a vedere quel famoso quadro, come si chiama, ah sì, la signorina con la pelliccia”! E’ stato importantissimo poter vedere un’opera simile, ma si ritorna al discorso di prima: che cosa rimane in chi vede un quadro di quel valore se non si sa neanche cos’è quel quadro? Lo stesso vale per le città d’arte: che senso ha visitare una città d’arte se dei ventidue minuti, quindici li passo per  comprare il pezzo di pizza o la boccetta di alabastro?!
In che senso cresce la Cultura?
D’accordo con le Sovrintendenze, credo che il discorso del decentramento, della valorizzazione delle tante realtà poco conosciute sia un’operazione politica seria e non semplicemente la gestione dell’esistente.

 



















Contributi



Avvocato Carlo Delle Sedie


Mi riferisco all’intervento del Professor Zecchini che ha qualificato il ritrovamento di Fossa Nera B come insediamento fortificato e ha detto che questo ha dato agli archeologi la possibilità di rendersi conto in cosa consistessero i castella di cui parla Tito Livio; il riferimento mi ha fatto ricordare quel passo di Livio nel quale scrive che i romani dopo la sconfitta con  Annibale nella Battaglia della Trebbia, nel 218 a.C., si rifugiarono a Lucca: ‘Lucam concessit’ dice testualmente. E’ un’ipotesi, con qualche fondamento, che proverebbe che il Console Sempronio Longo avesse presenti queste zone fortificate in cui rifugiarsi.


Prof. Michelangelo Zecchini

Direttore Scientifico degli scavi di fossa Nera

E’ un’ipotesi fra le tante prese in considerazione, ma, come già detto nel mio intervento, le prime campagne di scavo creano problemi e interrogativi che vanno poi verificati; questa è una delle ipotesi e vogliamo vedere se la cronologia dell’insediamento può portarci indietro nel tempo, per la precisione al 217 a.C.; il Console Sempronio Longo arrivò con il suo esercito dopo la sconfitta con Annibale a metà del 218, ci furono le scaramucce nella zona di Piacenza durante il solstizio d’inverno, tentò di valicare l’Appennino ma fu rigettato indietro da una violenta tempesta, riprovò agli inizi del 217 e finalmente riuscì ad arrivare a Luca; che cos’era questa Luca nel 217 a.C. non lo sappiamo ancora. Sono tutte cose da studiare e verificare, considero quindi l’intervento dell’Avvocato Delle Sedie stimolante.

 

Dott. Giulio Ciampoltrini

Responsabile di Zona Sovrintendenza Archeologica della Toscana

Fra gli interventi del settore non archeologico, mi sembra particolarmente interessante l’idea di un parco non solo di valore antropico, ma di un parco che aggiunga tutti i valori della frequentazione culturale e agricola, fino alle soglie dei nostri anni. L’evidenza archeologica di Casa del Lupo mostra una sovrapposizione al sistema di bonifica di età romana, articolata in almeno due fasi e a sua volta insistente su un sistema etrusco, mostra una serie di opere di bonifica di incerta datazione, ma che per molti indizi possono essere riferite alla prima bonifica medioevale che si può datare al corso del XII sec., travolta poi da una nuova avanzata marginale della palude, anche per l’abbandono delle opere, nel corso del Trecento e della prima metà del Quattrocento; questa fase è stata poi superata con i lavori di bonifica eseguite fra il Cinquecento e il Settecento, che trovano anche un evidenza monumentale nei molti edifici che, soprattutto nel tratto compreso fra S.Ginese e Porcari, marcano questa forma di rioccupazione.
Mi sembra, quindi, che la proposta di non limitare i valori storico culturali del territorio agli aspetti prettamente antichi, ma di farli giungere fino in età moderna, abbia notevoli riscontri anche nell’evidenza monumentale da recuperare; segnalo fra tutti lo straordinario monumento del Palazzaccio, uno dei più belli esempi dell’architettura rurale settecentesca, già rilevato sulla cartografia settecentesca del territorio; l’intero complesso di opere di conquista e riconquista del territorio dal Medioevo ai giorni nostri costituisce uno straordinario episodio di storia della vita agricola e agraria della Piana di Lucca, la vita di gran parte dei suoi abitanti, ed ha straordinarie prospettive di valutazione ambientale, proprio per far capire che il rapporto fra uomo e ambiente non è statico, ma dinamico. La Piana di Lucca insomma rappresenta uno straordinario documento.


Prof. Giorgio Pizziolo

Università di Firenze
Vorrei fare una provocazione: mi era sembrato di aver lanciato un’idea di un certo tipo che non è scontata, per ora, nella storia di questo dibattito: l’idea di un parco, cioè, nel quale si possono fare tante azioni; tra l’altro un’azione che io non ho citato, potrebbe essere anche quella di un’agricoltura di qualità, non è detto che l’unica agricoltura di questo territorio debba essere di tipo massificato tecnologizzato; nel momento in cui si fa un parco potrebbe essere avviata un’agricoltura di qualità, non biologica per forza, che potrebbe avere dei redditi economici superiori a quella praticata oggi. Questa è un’area pubblica, in gran parte: allora mi sembra che esistano tutte le condizioni per poter fare un passo del genere. Vorrei capire da parte degli amministratori e da parte del pubblico se si è d’accordo nel lanciare una proposta di parco archeologico, agricolo, urbanistico, naturalistico, con le scuole, le Associazioni, ecc. attive dentro questo tipo di operazione, se si decide che nel giro di tre anni questa ipotesi si porta in fondo e se quindi ci si dota di un protocollo d’intesa che intanto stabilisce, anche nei confronti dei due PTC per esempio, delle salvaguardie precise, non fini a sé stesse, dei valori esistenti in funzione dell’operazione parco.


Gaia Pallottino

Vice Presidente Italia Nostra
A questo punto bisognerebbe rilanciare l’ipotesi di un lavoro coordinato fra Comuni e poi discuterlo insieme; l’idea che poi da qualche parte bisogna cominciare, che le cose vanno fatte per segmenti, è anche giusta; credo che queste cose debbano essere fatte, perché entrino dentro il tessuto della società, in un coordinamento ampio, in maniera trasparente, davanti ad un progetto, magari anche un progetto alternativo, da discutere in termini anche rapidi. Vorrei aggiungere un’altra cosa: lavorando per Italia Nostra, di fronte a me che voglio tutelare qualcosa, trovo sempre qualcuno che mi accusa di voler museificare i centri storici, il paesaggio, che sono degli organismi in evoluzione, che la gente ha il diritto di trasformare, costruire; vorrei che il progetto di allagamento per ricostruire certe condizioni ambientali indispensabili, non sia visto in negativo, retaggio di un passato povero, quando c’era la malaria. Evoluzione del paesaggio non deve essere necessariamente strade più larghe, case, capannoni, ma può essere anche l’idea di ricostruire il paesaggio, con un’evoluzione dell’agricoltura, oggi da fitofarmaci e inquinante, verso un’agricoltura più compatibile con certe zone e con la salute della gente, può essere anche l’idea di riallagare certe zone, ricostruendo un paesaggio del passato. Mi piacerebbe che si facesse una riflessione sull’alternativa falsa museificazione/cementificazione; c’è un’alternativa vera, il paesaggio in evoluzione, al quale possiamo dare un contributo positivo perché il paesaggio sia anche bello e nel quale vivere più contenti e soddisfatti, più sani; la contrapposizione tra il blocco e l’evoluzione in negativo va sfatata: questo può essere un luogo dove si fa’ un laboratorio, dove si realizza un paesaggio positivo nel quale si vive e stiamo bene, che ricostruisce certi valori dell’ambiente che noi abbiamo il dovere di trasmettere poi ai nostri figli e ai nostri nipoti. Visto che ci sono delle Amministrazioni sensibili, questa potrà essere occasione di uno sviluppo anche economico sostenibile; ho apprezzato molto le parole dell’Assessore Cazzola che ha parlato del turismo esattamente come noi a Italia Nostra ne discutiamo: il turismo dev’essere qualcosa che arricchisce la gente non un fatto distruttivo.


Liano Picchi

Presidente Legambiente di Lucca

Accolgo favorevolmente la provocazione di Pizziolo, perché sarebbe intendimento di coloro che hanno partecipato a questo convegno bellissimo far sì che non fosse un’esercitazione fine a sé stessa, che sarebbe deludente per coloro che sono venuti qui da relatori e che non hanno bisogno di accademia. Abbiamo un grosso vantaggio: quelle difficoltà che si frappongono alla costituzione dei parchi, qui, forse, non esistono, o meglio, siamo in grado di contenerle perché infondate, primo perché parliamo di una zona eminentemente pubblica; secondo, come diceva il Professor Puxeddu, perché questa archeologia ci ha salvato da insediamenti inquinanti; terzo, credo che quaggiù si riesca a conciliare i diversi interessi in campo: l’agricoltura esistente è un’agricoltura povera, fatta di mais quasi mai raccolto e atrazina che finisce in falda, mentre noi abbiamo bisogno di rimpinguare la falda (riallagare la falda significa quindi diminuire i fenomeni di subsidenza di questa zona); avremmo quindi un vantaggio idrogeologico e, in secondo luogo (per i naturalisti gli storici e gli archeologi è perfino banale dire che rappresenta un dato positivo), a livello turistico tutte le associazioni agrituristiche, l’APT, ecc., hanno aderito alla petizione che chiedeva l’istituzione del parco; la popolazione l’ha vissuta come elemento per inibirne altri, ma poi si è appassionata all’argomento e l’ha visto coinvolgente perché potrebbe rappresentare una maniera diversa di auspicare un futuro che non sia fatto solo di aziende e cemento. Se noi riusciamo a mettere insieme questo tessuto di realtà tutte interessate, con nessuna vera opposizione, siamo in una situazione talmente favorevole che sarebbe sciocco farcela passare di mano. Accolgo la proposta, che è un po’ di tutti, anche se è stata esplicitata dal Professor Pizziolo, di dare con questo Convegno un La iniziale alla costituzione del Parco archeologico, magari in tre, quattro, io spero due anni.


Professor Luciano Fanucchi

Assessore alla Cultura Comune di Capannori

Il fatto di aver collaborato alla realizzazione del Convegno dimostra quanto l’Amministrazione intenda realizzare e portare avanti ciò che dal Convegno è emerso. Una cosa interessante è venuta fuori, tra l’altro da anni nutro una passione profonda per ciò che concerne la riscoperta di un tipo di agricoltura tradizionale, di prodotti che potrebbero consentire una svolta anche economica: se si disgiungono l’elemento culturale dall’elemento economico, difficilmente si riuscirà a portare a compimento certi progetti. Credo che ci si possa muovere in questa direzione e lancio qui una sfida per la realizzazione di questo progetto; tanto è vero che già per l’anno prossimo, come già ricordato dal Sindaco Martinelli, il Comune di Capannori ha già in essere la prosecuzione della campagna di scavi in località Palazzaccio, per consentire l’approfondimento e la conoscenza del territorio dal punto di vista agricolo, ma ha anche allo studio la realizzazione di un sogno che da anni stiamo portando avanti: la realizzazione di un museo della civiltà contadina; un museo che non dovrebbe essere una realtà ‘morta’, solamente espositiva, ma un museo vivente, laddove si ricostituiscono e si riscoprono le pratiche colturali di un tempo.


Marco Franchini

Mi premeva sottolineare la potenzialità esplosiva dell’intervento del Professor Pizziolo, perché riunisce in pratica tutti gli aspetti che i nostri esperti hanno trattato, con delle potenzialità di sviluppo sia culturale che economico notevole; mi piacerebbe sentire soprattutto il parere degli Amministratori locali.

Marisa Di Santoro

Assessore alla Cultura Comune di Porcari

Vorrei rispondere alle sollecitazioni del Professor Fanucchi riguardo al progetto che già esiste.
In realtà, già durante la precedente amministrazione, è cominciato l’incontro con le Amministrazioni della zona e ne è scaturito un progetto perché pensavamo alla realizzazione di un museo all’aperto; quindi, in particolare per ciò che riguarda Porcari, è stato addirittura fatto un sopralluogo in una presella attigua agli scavi dai responsabili del comitato ambientale del Bientina; parlammo della possibilità di allagamento di una zona. L’idea era quella di creare delle piccole vasche propedeutiche all’insegnamento che poi poteva svilupparsi nelle sedi opportune. Credo che gli amministratori, come i comuni cittadini siano sensibili; la questione sta in quanto detto dal Professor Cazzola: gli Enti da soli non hanno le risorse e il tentativo di presentare un progetto unitario c’è stato: credo che bisogna ricorrere ancora più in alto, insieme ma più in alto, per trovare i finanziamenti necessari.



Erio Bosi

WWF di Lucca

Noi abbiamo una piccola Oasi nell'Area del Bientina da quindici anni; purtroppo devo dire che le Amministrazioni locali, che adesso forse anche grazie a queste scoperte archeologiche cambieranno atteggiamento, fino ad ora non ci hanno offerto una grande collaborazione; siamo andati avanti, nei sedici ettari che gestiamo, pagando di tasca nostra al demanio, proprietario dell’area, l'affitto dei terreni, come  se la nostra fosse un'attività produttiva. Finora ci sono stati creati alcuni problemi, soprattutto a causa della caccia.
Quello che stiamo facendo è portare  i ragazzi delle scuole a visitare questo biotopo, questo piccolo lembo di pianura lucchese, rimasto intatto grazie al fatto che è la cassa di espansione di un torrente e quindi non occupato dall'agricoltura intensiva.
Mi fa' piacere osservare questa nuova consapevolezza sull’importanza della zona fra i Sindaci e gli Assessori presenti: spero che sia duratura e che non finisca con questo convegno.


 

  

Partecipano: Dott. Carlo Galletti (Legambiente Toscana), Dott.ssa Loredana Cipriani (Presidente FAI), Antonio Torre (Vicepresidente Provincia di Lucca), Claudio Riccardi (Consigliere Regionale AN), On. Domenico Maselli (in rappresentanza del Ministero Beni Culturali), On. Marialina Marcucci (Vicepresidente Regione Toscana), Dott. Pietro Sebastiani (Rappresentante Aggiunto Delegazione Italiana UNESCO)





Dottor Carlo Galletti

Gruppo Parchi Legambiente Toscana

Fra gli interventi del mattino, vorrei ricordare il percorso suggerito dal Professor Pizziolo per la realizzazione di un Parco Archeologico Naturalistico. Legambiente ritiene che individuare una specifica istituzione che possa gestire le emergenze racchiuse in questo territorio rappresenti il punto di partenza più efficace per arrivare a risultati concreti. Pizziolo suggeriva i momenti della salvaguardia, della creazione di nuovi paesaggi, della sperimentazione di attività turistiche, dell’esecuzione di nuovi scavi, dell’educazione attraverso le scuole e le attività delle Associazioni. Vorrei ricordare che esistono nel territorio del Bientina due realtà gestionali che negli ultimi cinque anni hanno realizzato un primo modello che può costituire un valido riferimento: esso ha già coinvolto decine di classi, alcune centinaia di studenti e insegnanti relativamente all’aspetto naturalistico, con una serie di attività che hanno tentato, prima delle eccezionali scoperte archeologiche, di proiettare anche sulla dimensione storica le attività delle due aree; si tratta delle aree protette del Bottaccio e di Bosco Tanali. Il quadro giuridico regionale offre delle interessanti possibilità e ha già permesso di ottenere significativi finanziamenti: la Legge Regionale sulle aree protette, i programmi regionali che l’hanno attuata, tramite anche un progetto sulle Rotte Migratorie, hanno permesso l’istituzione ed il funzionamento delle due aree; la Delibera del Consiglio Regionale sull’attuazione della Direttiva Habitat ha individuato le due aree come siti di interesse regionale; la Proposta di Legge sulla biodiversità, attualmente in esame in Consiglio Regionale, può diventare uno strumento importante che potrebbe valorizzare anche quegli elementi di collegamento ecologico e funzionale fra ecosistemi, che sono, nel caso del Bientina, le alberature, i canali e gli elementi lineari del territorio come le siepi, ecc.; le azioni sul diritto allo studio hanno permesso la realizzazione dei Centri di Educazione Ambientale di Lucca e Bientina, che potrebbero facilmente arricchirsi e diventare elementi di divulgazione delle conoscenze in campo archeologico. Su questa traccia, le Associazioni Ambientaliste locali avevano proposto, in occasione del Convegno tenutosi ad Altopascio nel 1998, un Protocollo d’Intesa che era stato sottoposto alle Amministrazioni Provinciali di Lucca e Pisa e ai Comuni del territorio. La proposta aveva dei punti che vorrei ricordare: soprattutto raccomandava il coordinamento nell’azione degli Enti ed il coinvolgimento fin dall’inizio del versante Pisano (nel campo delle aree protette questo sta in parte già avvenendo e risponde a precise direttive della Regione contenute nel secondo Programma Regionale); raccomandava poi il coordinamento delle attività di pianificazione territoriale, elemento fondamentale che anche Pizziolo ha messo in evidenza, per evitare che il territorio, vista l’importanza storica, archeologica e naturalistica, venga ad essere occupato da saldature di elementi urbanistici e infrastrutturali che andrebbero a decrementarne l’importanza; lo sviluppo di attività economiche sostenibili, dall’agricoltura all’ecoturismo, alla ricerca e alla divulgazione di attività didattiche, lo sviluppo e il coordinamento delle aree protette e della attività archeologiche, la valorizzazione del patrimonio demaniale del bacino del Bientina. Legambiente ritiene importante, per le prospettive che si aprono per gli anni futuri, evitare o, per lo meno, pilotare la privatizzazione di questo patrimonio che conta oltre 1400 ettari di territorio e tutta una serie di beni immobiliari, come quella di Casa dell’Isola che, per la sua collocazione e per il suo valore, potrebbe svolgere funzioni direzionali, espositive ed è forse la sede idonea per attività museali legate agli aspetti archeologici e naturalistici. Da questo punto di vista rivolgiamo un appello alle Regione perché coordini questo lavoro comune, stimoli l’intesa fra le Provincie e i Comuni interessati, costituisca una sede di confronto e di collaborazione, rispetto alla quale Legambiente dà la propria disponibilità mettendo a disposizione un patrimonio di attività e approfondimento ormai più che decennali. Rivolgiamo un appello alle Provincie di Lucca e Pisa a riesaminare l’opportunità di un processo basato su tappe e tempi certi e concordati, sul modello del protocollo d’intesa a suo tempo presentato, ed a coinvolgere in un’azione di comunicazione e discussione pubblica la popolazione fin dai primi momenti. L’esperienza gestionale delle due aree protette sopra citate ha costituito motivo di soddisfazione soprattutto per il fatto che la popolazione di un territorio che ancora fino a qualche mese fa’ era considerato un territorio marginale, sconosciuto a livello nazionale, ma anche trattato come territorio di confine dalle due Provincie interessate, si è in un certo senso riappropriata del rapporto con il territorio stesso: l’importanza notevole dei valori archeologici e naturalistici di questo territorio diventa un elemento forte che può coinvolgere e creare consenso verso l’istituzione di attività e di iniziative che li facciano riconoscere.


Dottoressa Loredana Cipriani

Presidente FAI

Vi ringrazio per aver pensato anche al FAI in una cosa che riguarda l’Ambiente. Il Fondo per l’Ambiente Italiano sente tutto ciò che riguarda l’Ambiente come musica per le proprie orecchie. Il Fai è una fondazione privata senza scopo di lucro volta ad acquisire dei beni di valore storico, artistico e culturale ed ambientale, degni di essere salvati per la nostra e per le future generazioni. Nei suoi venticinque anni di vita il FAI ha salvato quasi trenta monumenti; uno dei primi, per esempio, il Castello di Avio, che nel giro di un anno è stato restaurato e aperto al pubblico come tutte le proprietà del FAI; Emanuela Castelbarco, nipote di Toscanini, ritenendo di non potere più farcela a mantenerlo, decise di donarlo al FAI, riservando per sé e per i suoi eredi il diritto di abitarne una parte, la Torre Picadora; l’ultima acquisizione è in provincia di Lucca, il Teatro più piccolo del Mondo, per il quale prevediamo di finire i lavori di restauro per il 2000. Non è archeologia, ma attenzione all’ambiente nei suoi diversi aspetti.


Dottor Antonio Torre

Vicepresidente Provincia di Lucca

Il Convegno odierno ha dimostrato la qualità e l’importanza del cammino percorso e di quanto ci aspetta per il futuro. La promessa di stamani riguarda uno stanziamento nel Bilancio provinciale 2000 su questo progetto alla voce dei beni culturali. E’ necessario però avere un’intesa, un protocollo fra gli Enti interessati: Provincia, Regione, Comuni, Sovrintendenza e tutti coloro che hanno competenze in questo senso, perché ci possa essere una pianificazione che indichi verso quali obiettivi ci dirigiamo. L’idea di legare il processo che ha portato alla luce importanti beni archeologici ad una proposta possibile di Parco Archeologico-naturalistico deve condurre ad una piena valorizzazione di quest’area. Qui si confrontano in maniera significativa tutela e valorizzazione ambientale e sviluppo. Per quanto riguarda l’attenzione sul territorio credo che il Comune di Porcari abbia garantito nei propri strumenti urbanistici la protezione dell’area; la Provincia, che sta elaborando il PTC, ha un interesse particolare a tutelare aree che presentano importante valore di tipo archeologico; in questo senso mi pare che ci sia già una concordanza di vedute. L’analisi del rapporto tra Archeologia, Beni culturali e sviluppo ci fa ritenere che questo progetto possa essere occasione di sviluppo sostenibile: attraverso un percorso concordato ed una proposta chiara è possibile arrivare, attraverso la valorizzazione delle peculiarità ambientali, culturali e archeologiche di quest’area, ad incentivare un particolare tipo di turismo, creando occupazione attraverso attività innovative. L’impegno della Provincia, oltre a quello finanziario, (anche se i finanziamenti vanno attivati ben al di là delle risorse dei nostri Enti locali e, se il progetto è serio, fondi possono essere reperiti sia a livello statale che europeo), è di seguire con attenzione l’interessante cammino aperto dal Convegno.



Gaia Pallottino

Vicepresidente Italia Nostra

Non ripeterò le cose dette stamani, ma vorrei passare alle proposte.
C’è, nella zona, una grande aspettativa ed un evidente desiderio di partecipare al progetto del parco; le Associazioni ambientaliste hanno sempre lavorato molto di concerto e vorrei invitare gli Amministratori a riprendere il progetto del coordinamento tra gli Enti locali, vorrei suggerire anche di coinvolgere la redazione del nuovo PTC della Provincia di Lucca e riproporrei con forza la proposta di Pizziolo, gettonatissimo dopo l’intervento di questa mattina; qualcuno prenda le fila per la redazione del progetto e vediamo come si possa realizzare un progetto partecipato. Mi sembra una sfida interessante: le Associazioni si possono fare promotrici in qualche modo di creare il canovaccio di quest’operazione che, se andasse in porto, potrebbe essere molto interessante ed emblematica per altre situazioni in Italia, un piccolo laboratorio di ricerca su come fare un Parco partecipato da tutti.


Erio Bosi

WWF di Lucca

Noi credevamo nell'area del Bientina anche solo per l’importanza  ambientale e naturalistica.
Le cose che stanno venendo fuori, queste scoperte archeologiche, non possono che rafforzare la nostra fiducia nello sviluppo in senso naturalistico protezionistico di quest'area e allontanare le mire devastanti che in passato l ’hanno investita e colpita; da parte nostra non ci saranno problemi a lavorare con le altre Associazioni ambientaliste, lo stiamo già facendo, né a lavorare con il Professor Zecchini e con chi si occupa della parte archeologica.


Claudio Riccardi

Consigliere Regionale AN

Ho piacere di partecipare a questa importante manifestazione, per portare il mio contributo anche come rappresentante di un gruppo consiliare che in merito a questo argomento aveva presentato a suo tempo (1996) una proposta di legge regionale; come tante proposte di legge giace da anni  in qualche cassetto, ma credo che, oggi, meriti attenzione. La proposta era relativa alla individuazione e alla valorizzazione degli insediamenti archeologici della Toscana; sono convinto che possa essere uno strumento nella legislazione regionale per mettere in moto un qualcosa con una certa chiarezza e definizione. Scorrendo l’articolato, troviamo le finalità, leggo alcuni passaggi: ”La Regione riclassifica le aree a vocazione archeologica e favorisce l’azione delle associazioni di ricerca archeologica, le nuove professionalità, l’occupazione nel contesto di programmi di valorizzazione delle aree”; “I Comuni procedono alla individuazione nel proprio territorio delle aree così distinte: zone con presenze archeologiche consolidate, zone con nuovi insediamenti archeologici, zone di prospezione archeologica, zone di rispetto archeologico”; “E’ previsto un vincolo regionale di cinque anni, nel rispetto delle leggi nazionali”, sono previsti siti archeologici di interesse regionale, sono previsti i finanziamenti per i progetti: se non si mette in moto il meccanismo dei finanziamenti rimane solo una bella iniziativa e nulla più. In questa legge è previsto un comitato di vigilanza, così come la possibilità di organizzare corsi di formazione professionale. E’ una proposta che noi riteniamo seria e che riteniamo sia una risposta a certi appelli, “qualcuno prenda le fila”, ci auguriamo cioè che la Regione Toscana prenda le fila e possa fare la sua parte come organo preposto: solo in quel momento avremmo chiarezza, certezza e strumenti per muoverci, nel rispetto delle autonomie. Abbiamo parlato spesso della Toscana che attraverso la promozione dei propri prodotti e delle proprie specificità anche turistiche porta e dà la possibilità al turismo di essere il numero uno di un indotto economico: le maggiori attenzioni allora devono essere  indirizzate in questa direzione.




On. Domenico Maselli

Segretario della Commissione Affari Costituzionali della Camera

Trovo estremamente importante il Convegno di oggi, anche perché copre una lacuna: Lucca è la Lucchesia sono importanti, come è stato messo in luce stamani, non soltanto dalla fine del Medioevo in poi, ma anche in epoca ronama e preromana; secondo me, la sezione archeologica del Museo di Lucca deve essere potenziata; i turisti che arrivano a Lucca devono avere la sensazione della continuità storica della città: se è molto importante il periodo in cui la città è stata Capitale di Stato, e io ho presentato una proposta di legge per la valorizzazione dei beni culturali raccolti in questo periodo, proposta che ha avuto molte adesioni e che spero possa avere un futuro, non dobbiamo dimenticare né l’epoca medioevale (nell’Archivio dell’Arcivescovado abbiamo il 90% delle pergamene longobarde esistenti al mondo, un bene preziosissimo che rischiamo di dimenticare; nell’Archivio Capitolare esiste una progressiva documentazione di tutto il Feudo di Massarosa, che è rimasto feudo dal 1000 al 1799; chi credesse che la Storia di Lucca comincia con l’età matildina sbaglierebbe enormemente), né tantomeno le epoche precedenti. Quando il turista arriva deve avere un quadro preciso della presenza antica; se nasce un museo nell’area di Fossa Nera, questo deve essere legato ad un discorso generale: basta con il turista mordi e fuggi che vede quattro o cinque cose nella città, che si è portato da Pisa la focaccina, e che per il cittadino in pratica non porta nulla. Altissime personalità vengono in Lucchesia a passare l’estate, e non possiamo dimenticare il quadro complessivo nel quale inserire il lavoro archeologico di Michelangelo Zecchini; questo lavoro va’ potenziato. Chiedo alla Regione, ma so che la Regione lo ha già fatto, che nelle trattative con il Governo per il Piano Culturale Toscano la questione del Bientina sia ben chiara; io stesso ne ho parlato al Ministro, perché credo che il Bientina presenti un importante fatto, perché unisce il lato ambientale al lato storico. Il Padule è importante per il ruolo di conservazione ambientale giocato; molte volte abbiamo pensato ai paduli come fatto negativo; al contrario sono un fatto estremamente positivo! Oggi scopriamo che il Padule ci restituisce il passato. Quindi attenzione: il Parco va’ fatto al più presto. Cercherò di vedere se è possibile interessare lo Stato per la creazione di un parco. Ho perciò bisogno di materiale per interventi legislativi e di sussidio ad una eventuale azione amministrativa, molto più veloce. Quello che posso promettere è il mio impegno, credo di averlo sempre mostrato, vi chiedo aiuto e tutti gli elementi utili per portare a Roma questo pensiero, naturalmente senza passare sopra il lavoro della Regione e della Provincia e degli Enti locali, i veri propositori.
Questo è il fatto positivo di oggi: che due Comuni ci abbiamo chiamati e che noi rispondiamo. Credo che anche l’UNESCO debba guardare alla Lucchesia con occhi diversi da quanto fatto finora.

Consigliere Pietro Sebastiani

Rappresentante Permanente Aggiunto Delegazione Italiana UNESCO. PARIGI

Vorrei anch’io precisare che qui rappresento la Delegazione Italiana e non l’UNESCO in quanto Organizzazione. Questa mia posizione mi ha dato la possibilità di avere un osservatorio particolarmente privilegiato, per rendermi conto di quanto l’UNESCO fa’ e, nel caso specifico, dell’attenzione che l’UNESCO pone sulla questione della salvaguardia del patrimonio. Non è un caso se oggi l’UNESCO si identifica agli occhi dell’opinione pubblica soprattutto col patrimonio: mentre negli anni ’50 era famosa per le campagne di alfabetizzazione, negli anni ’60 si identificava per le campagne per Assuan e per Venezia, oggi si identifica soprattutto con il patrimonio. Vengo da un mese e mezzo di Conferenza Generale dei 188 Stati dell’Organizzazione e dieci giorni orsono si sono svolte le elezioni del Comitato del Patrimonio Mondiale, figlio di una convenzione firmata da 158 Stati. Ebbene, per sette posti c’erano 37 Stati a concorrere: c’era una proporzione fra gli Stati che aspiravano ad entrare nel seno del consiglio esecutivo di quest’organo quattro o cinque volte maggiore rispetto agli Stati che aspiravano ad entrare nel consiglio esecutivo dell’Organizzazione stessa. L’Italia è stata eletta al Consiglio Esecutivo dell’Organizzazione martedì scorso con 160 voti su 188 paesi, dieci paesi non hanno potuto votare per ragioni di bilancio, un grosso successo, superato però dal successo della campagna fatta per essere rieletta nel Comitato per il Patrimonio dove l’Italia è entrata a far parte dei sette eletti ed è stata anche l’unico paese rieletto e l’unico paese che siede in Consiglio da più di venti anni. Se l’Italia ha per il patrimonio un occhio di particolare riguardo all’interno dell’UNESCO, abbiamo però anche una serie di centri scientifici nel Nord-est che vanno dall’Istituto di fisica teorica di Trieste all’Accademia per il Terzo Mondo, al ROSTE, l’Ufficio Regionale dell’UNESCO per la Scienza di Venezia; un’enorme attenzione insomma verso il mondo scientifico, l’interscambio e la circolazione dell’informazione scientifica, ma soprattutto, ripeto, un’attenzione per il patrimonio. L’Italia è il primo paese per contributi volontari all’Organizzazione ed è di gran lunga il primo paese finanziatore di progetti per il patrimonio mondiale. L’attenzione dell’Italia alla salvaguardia e alla tutela dei beni è manifestata non solo dall’apparato politico-amministrativo, ma anche dalla società civile: ne è un esempio la Campagna fatta di recentedal Corriere della Sera, un’iniziativa che anche all’interno dell’Organizzazione ha fatto scalpore, sui siti del patrimonio mondiale, un elenco di circa 600 siti censiti dall’Organizzazione e sui quali esercita una sorta di tutela. Vorrei dire, prima di concludere e riferendomi a quanto detto dall’Onorevole Maselli, che l’UNESCO si sta molto interessando a questa zona: ne è testimone l’Assessore di Lucca, Bedini. Ultimamente, approfittando del Convegno di Firenze “La Cultura Conta” organizzato dall’Italia con la Banca Mondiale e l’UNESCO e che ha visto la partecipazione di oltre 160 Paesi, è venuto a Lucca il Direttore ad interim del Centro del Patrimonio Mondiale. L’attenzione c’è, e credo che su questo si possa continuare a lavorare. Una piccolo suggerimento propositivo, utile sia per l’immagine degli scavi, sia da un punto di vista di aiuto pratico: pensare se non sia possibile per il 2000 dar vita ad una campagna di scavi con la partecipazione di 15-20 studenti di archeologia dei vari paesi del mondo. Concludo dicendo che domani me ne torno a Parigi portandomi un po’ di fango sulle scarpe, però un bellissimo ricordo di questa giornata che segna un punto di successo che mi fa’ particolarmente piacere perché anch’io sono lucchese come buona parte di voi.


Marialina Marcucci

Vicepresidente Regione Toscana

Non mi devo far distrarre dalla bellezza del luogo e dall’interesse per gli eccezionali risultati delle campagne archeologiche, ma assumere impegni precisi su un idea che ha indubbiamente il potenziale di un bellissimo progetto di Area, per il quale non servono leggi speciali, né tantomeno progetti di settore, in quanto esistono già gli strumenti legislativi adatti che permettono di censire il territorio in termini progettuali senza fare doppioni con il Ministero dei Beni Culturali e sopratutto in grado di garantire la tempestività nei tempi strettissimi di impegno e spesa dei fondi erogati.
Ciò che doveva essere fatto per portare all’attenzione generale le potenzialità del luogo è stato fatto: il passo successivo deve essere un Progetto vero di Fattibilità da inserire nei programmi del Ministero dei Beni Culturali, dell’Ambiente, dei Lavori Pubblici, della Regione e della Provincia perché si possa attingere alle risorse che via via si renderanno disponibili anche a livello europeo.
Con estrema concretezza, perché venga preso nella dovuta considerazione, dev’essere un progetto che abbia tutte le caratteristiche del Progetto d’Area, necessita quindi della partecipazione di tutte le realtà locali interessate, Comuni e Provincie di Lucca e Pisa. Le finalità della Regione vanno in direzione di una salvaguardia in funzione di un beneficio sociale ed economico della comunità; bisogna quindi privilegiare gli aspetti di uno sviluppo sociale ed economico di un’area quanto più vasta possibile.
Positiva è già l’attenzione dell’Unesco e delle maggiori associazioni ambientaliste, come indubbia è la vocazione culturale e turistica che l’Area del Bientina ha assunto.
Mettersi insieme per trovare intanto le risorse per stendere il Progetto, qualche centinaio di milioni subito, per mettere nel dettaglio presenze e potenzialità e, sopratutto, per indicare in termini reali la fruibilità immediata e le capacità di piena autonomia gestionale. In poche parole bisogna aver chiaro quanto un progetto simile ci verrà e costare e come lo sostenteremmo.
Sia come Assessore agli investimenti sui Beni Culturali che come Assessore al Turismo, mi impegno a reperire a breve, o su un avanzo di bilancio del ‘99 o sul Bilancio del 2000 un cofinanziamento, insieme agli Enti coinvolti, da destinare alla valorizzazione di un’area ad altissimo potenziale, un’area che trova al suo centro una città d’arte che, come giustamente diceva l’On. Maselli, deve trovare sostegno dall’ambiente circostante, sfogo per un turismo di qualità che non si concentra solo per la giornata ‘dentro’, ma vive la nostra area per un periodo più lungo e si ferma per più giorni, quindi che da Lucca si sposta sul territorio.
La Toscana dal ’96 al 2000 avrà investito circa 800 miliardi sulla valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale, fondi europei, fondi strutturali, nazionali, ecc.; questi li abbiamo potuti investire, molti anche in aree archeologiche che, per quanto riguarda la Toscana, sono fortemente penalizzate perché le risorse vanno diciamo a dei progetti prioritari, come Pompei, ecc.; credo che la Sovrintendenza regionale possa contare su 5 miliardi l’anno; quando una Sovrintendenza è costretta a mandare in malora la villa imperiale romana di Giannutri che, parlando di UNESCO, credo che sia uno dei gioielli del Mondo, ed è costretta a non poter avere gli spazi museali per esporre quel ‘ben di Dio' riferito agli etruschi che giace negli scantinati, sotto il livello di guardia dell’Arno, perché da Roma non arrivano le risorse per poter intervenire, si può capire con quanto cuore ci segua, ma con quale carenza di risorse ci accompagnerà. Un progetto di fattibilità che ci dia la forza di porre all’attenzione del Ministero un progetto di Area come progetto su cui tutti gli Enti territoriali convergono come potenziale motore di sviluppo di questa parte della Toscana è fondamentale perché il Ministero sia costretto a sostenerci nella ricerca delle risorse finanziare, così che nel momento in cui le risorse si rendono disponibili noi facciamo parte delle priorità.


Marisa di Santoro

Assessore alla Cultura Comune di Porcari

Vorrei ringraziare tutti per gli interventi e le sollecitazioni, ma in particolare vorrei dire che, probabilmente, come Enti non abbiamo bisogno di un progetto di fattibilità, in quanto siamo stati dietro per parecchio tempo con i Comuni contermini ad un lavoro di area, già presentato in Provincia e Regione; un itinerario museale nel quale ogni Comune offre la propria potenzialità. Vorrei andare più avanti, in quanto mi pare che gli Enti abbiano compreso la necessità del lavoro collegiale; forse si tratta di riprendere le cose già fatte, alcune Amministrazioni sono nel frattempo cambiate, e caso mai procedere con accordi di programma per rivolgerci poi alla Comunità Europea, laddove esistono dei fondi che non vengono sfruttati. Credo che da parte di tutti oggi sia stata riconosciuta la validità del lavoro svolto e la potenzialità che questo luogo offre; sarebbe sciocco far cadere un’opportunità del genere.

Dott. Ermanno Bullentini

Vice Sindaco e Assessore all’Ambiente Comune di Porcari

Oggi per noi si chiude una fase: preparare un Convegno che ponesse all’attenzione di tutte le forze, di tutti gli Enti, di tutti coloro che hanno voluto darci una mano il problema degli scavi di Fossa Nera, portati avanti con grande sacrificio dal nostro Comune e soprattutto dal Professor Michelangelo Zecchini.
Lunedì si parte con la seconda parte del nostro progetto che è quello di raccogliere gli inviti fatti da Marialina Marcucci, da Pietro Sebastiani, dall’Onorevole Maselli, dalla Regione e dalla Provincia di Lucca e da tutti gli altri qui convenuti: noi faremo tesoro di quanto ci hanno detto, cercheremo di capire i problemi perché e la prima volta che ci cimentiamo in un’impresa del genere, ricorreremmo a tutte le persone che qui sono venute a portarci il loro contributo e che ringraziamo; vi promettiamo che noi non ci arrenderemo finchè non avremo realizzato il sogno del Professor Zecchini.