“IL LAGO DI SESTO O DI BIENTINA” STORIA DI UNA BONIFICA



Il Lago di Bientina, o di Sesto per i Lucchesi, ed il lago di Fucecchio hanno costituito fin dai tempi remoti i maggiori problemi di regimazione idraulica della Toscana a nord dell'Arno. Una folta schiera di tecnici e di amministratori ha proposto e tentato di risolvere i problemi che queste due entità ponevano via via nei tempi, fino alle situazioni più a noi vicine, risalenti al periodo a cavallo fra gli ultimi cinquanta anni del XIX secolo e i primi decenni del XX.
Mi soffermerò al Bientina (nome che ha ormai annullato nell'uso quello più antico di Sesto) e delle sue vicende che hanno ormai ridotto il bacino lacuale ad ambiente bonificato. Esso e delimitato, ad est. dalle colline di Montecarlo e delle Cerbaie, ad ovest/sud ovest, dal monte Pisano, a nord, dal massiccio delle Pizzorne, a sud, dal corso dell'Arno, il quale fino al basso Medioevo raggiungeva con le sue anse il castello di Bientina e sino al 1500 lambiva le mura di Vico Pisano. Il lago costituiva il più ampio bacino della regione, con una superficie di quasi 40 kmq, ed un profondo chiaro centrale circondato da terre palustri.
La formazione geologica del lago e derivata dall'interramento del bacino lacustre Villafranchiano durante il Pliocene, protrattosi per parte del Quaternario. Secondo i più recenti studi, confermati dal ritrovamento di ciottoli durante i sondaggi di livello presso Cascina ad una profondità fra 40 e 80 m, che i ricercatori li ritengono trasportati da un antico corso del Serchio essendo costituiti da rocce tipiche del nucleo metamorfico apuano; la variazione del tracciato del fiume pare sia attribuibile ad un fenomeno di tracimazione, che dopo aver colmato la zona lacustre intorno a Lucca, si sarebbe indirizzato nel comprensorio del Bientina; i depositi alluvionali innalzarono la pianura di Lucca costringendo la fiumana a cercare sfogo verso ovest e, attraverso la soglia di Ripafratta, raggiungere il mare.
Da diversi anni le scoperte e i ritrovamenti archeologici venuti alla luce nell'ambito del bacino attestano una presenza umana continua sulle rive del lago. E' presumibile infatti che nel periodo della dominazione romana, a causa della necessita di nuove terre da coltivare, siasi provveduto ad una organizzazione idraulica di prevenzione dagli allagamenti dei coltivi e quindi ad un assetto funzionale idraulico. Se ne può dedurre che una riduzione dell'area lacuale sia stata limitata al territorio interno della curva di livello di metri sei; l'ipotesi trova conferma nei toponimi di origine latina attestati nella zona al di sopra dell'isoipse di m 10, significando forse che al di la di tale zona vi fossero coltivazioni, ma senza durevoli stanziamenti a motivo del pericolo di allagamenti.
Fra il V-VII secoli, a seguito della situazione economica e sociale determinatasi per molteplici eventi (sfascio dell'impero, invasioni barbariche, crisi demografica, guerra goto-bizantina e invasione longobarda) il lago di Sesto rimase abbandonato al suo destino a detrimento delle terre fino ad allora bonificate e senza tutela degli scoli delle acque. Nel frattempo, il letto dell'Arno, sospinto dalle fiumane dell'Era, penetrava fra le Cerbaie e il Monte Pisano fino a Bientina, trascinando detriti che andavano ad ammassarsi, a mo' di argine naturale, sul lato meridionale del lago, il quale cosi formatosi, fu considerato ora una comoda via di collegamento fra il Tirreno ed gli stanziamenti pedemontani delle colline lucchesi da cui si partivano le strade per la valle del Po, per i paesi della Pannonia, della Germania e della terra dei Franchi.

L'importanza della presenza del lago nel periodo altomedievale può dedursi dall'esame della consistenza lungo il suo perimetro, di alcuni concentramenti abitativi, in particolare di importanti strutture ecclesiastiche: l'abbazia benedettina di Sesto, che per lunghi secoli diede nome al lago, e l'abbazia di Cintoia nei pressi di Buti, dipendenza di Sesto, ed oggetto di un vasto contenzioso fra Lucca e Pisa per il possesso dei suoi beni.
Nella parte settentrionale del bacino, la abbazia di Pozzeveri e la magione degli Ospitaliero del Tau di Altopascio erano sin dal secolo XI interessate a controllare le acque del lago; anche l'abbazia di San Savino presso Cascina, pur distante dal lago, era proprietaria di terre rivierasche, quindi legata ai suoi destini.
Oltre agli enti ecclesiastici di cui sopra, anche le popolazioni dei castelli rivieraschi erano direttamente interessate per più motivi al lago: i diritti di pesca, sia direttamente esercitata o per effetto dei contratti di allivellamento ottenuti dai diversi monasteri; i diritti di taglio delle erbe che nascevano nel bacino e lungo i canali; l'esercizio delle attività connesse alla navigazione per trasporto di persone e di merci; i diritti di abbeverata e di pascolo.
L'espansione economica di Firenze, unitamente all'ampliamento del territorio, specie dopo il 1364 con la soggezione di Pisa, e nel 1402 con l'acquisto del castello di Bientina, suggerendo ai nuovi controllori  di proporre Te alla attenzione delle popolazioni interessate il problema della gestione delle acque del lago e del suo sfruttamento attesi i vari problemi che ne sorgevano seguendo in tale atteggiamento la politica lucchese.
Lucca nel 1296 aveva deliberato di assegnare a Bientina il possesso del lago. La decisione non soddisfece gli abitanti di Santa Maria a Monte; ne nacquero liti e controversie tanto da decretare a questi ultimi di non molestare la controparte. Nello statuto del 1308 era codificato che le fosse che collegavano il lago con la città fossero rese navigabili disponendo per una periodica ricognizione da farsi dal Potestà, da un capitano, da due Anziani e da due Pnon, alla quale  avrebbero dovuto presenziare 12 uomini di Bientina e di Buti.
A cavallo fra i secoli XIII e XIV, i Lucchesi tentarono ancora una volta una serie di opere atte ad allontanare le acque del Serchio dalla citta, operazione gia affrontata dal vescovo San Frediano nel VII secolo, e in un primo momento sembro assicurata la regolare affluenza dell'acqua verso Ripafratta; in tempo pero di piena, le acque del fiume tendevano a dirigersi verso l'antico corso e a spagliare nelle campagne circostanti. Per la brevita del tratto, il canale Cilecchio, fra il lago e l'Arno, era in grado di smaltire la massa delle acque ed il deflusso fu costante anche perchè il letto dell'Arno era piu basso di quello attuale.
Fin dai primi anni del sec. XVI, i Fiorentini costruirono una grossa muraglia che dai colli di Buti andava fino a Bientina per l'alimentazione dei molini che vi si trovavano, provocando la respinta delle acque del Serchio con il conseguente allagamento delle campagne lucchesi fino a Capannori, Pieve San Paolo, Tassignano, Verciano, interessando anche la strada che da Lucca portava a Capannori.
Per diversi anni i Lucchesi, nonostante l'inondazione periodica delle campagne della piana, non riuscirono a porvi rimedio. Solamente nel 1538, dopo un nuovo spagliamento del Serchio, emisero un prowedimento inteso a rettificare il corso del fiume da Ponte a Moriano a Monte San Quirico. Tali opere, iniziate nel 1562, si conclusero nel 1588, con 1'arginatura fino a Ponte San Pietro.
Contemporaneamente il granduca Cosimo I, intenzionato a bonificare la zona compresa fra l'ansa dell'Arno nel tratto MontecchioVico Pisano, fece chiudere il lago con un argine che andava dai piedi del Monte Pisano fino alle Cerbaie detto Argin Grosso, e ordino di correggere il corso dell'Arno, raddrizzandolo a sud del borgo di Calcinaia, che ora veniva a trovarsi sulla riva di destra, mentre precedentemente era sulla sponda sinistra. L'area fra l'Argin Grosso e il nuovo corso del fiume fu bonificata con il sistema delle colmate, utilizzando le torbe dell'Arno; i risanati terreni furono assegnati alla fattoria di Vico Pisano.
L'intera operazione intrapresa da Cosimo provocò non pochi danni alle comunita rivierasche lucchesi, tanto che le due parti giunsero ad un accordo per la riapertura del canale della Serezza, che evito il soccollamento delle acque ed i danni prodotti alle campagne sia lucchesi ehe pisane. La Serezza fu allargata da 24 a 40 braccia, con l'aggiunta di due luci alle cateratte di Vico, ad evitare che le torbe dell'Arno defluissero nel lago (in questo periodo il fiume lambiva ancora le mura di Vico). L'antica fossa della Serezzina raccoglieva tuttora le acque del Rio Magno e le scaricava in Arno con un percorso autonomo.
Nel 1579 il Granduca Francesco I, intenzionato a sfruttare a coltura i territori di recente bonifica devio il corso dell'Arno verso sud e lo condusse direttamente da Montecchio a Riparotto. Con questa iniziativa, le acque della Serezza non scaricavano piu in Arno. I Lucchesi, nell'intento di non vedere di nuovo allagate le campagne, furono costretti a scavare un ulteriore tratto della Serezza dalle cateratte di Vico Pisano fino a Riparotto. Il nuovo canale dall'Arno alle cateratte di Vico aveva una limitata pendenza; cio non permetteva un rapido scarico delle acque, anzi, a causa dell'alzato alveo dell'Arno nel nuovo corso, le acque del fiume raggiungevano le cateratte di Vico e nuovamente il lago, alzandone ancora il livello.
Vani risortirono gli appelli lanciati al Granduca, con l'invito a trovare una definitiva soluzione della controversia, e il contenzioso aumento'°. Fino al 1583, le questioni del lago e dei danni prodotti dal frequente rigurgito del medesimo sotto la spinta delle piene dell'Arno, non trovavano ancora soluzioni, ma semplici palliativi e furono costruite le cateratte di Riparotto".
Ciò costituì in prosieguo di tempo motivo di pregiudizi, poiche gli Agenti medicei se ne servirono per scolare i prati ad Est della Serezza mediante un fosso di collegamento fra i due impianti di ritenuta.
Negli anni fra il 1590 e il 1617, la Repubblica di Lucca cerco di ottenere dai Pisani ii rimborso delle spese sostenute, ma non ottenne soddisfazione alcuna. Solo nel 1617 le due parti si accordarono per la escavazione e la ripulitura della Serezza. In tale anno si provvidelde di nuovo a regolamentare la pesca nel lago di Bientina, ma la Repubblica, nel 1619, oppose un rifiuto al rialzamento degli argini della Serezza; cl ripenso pero l'anno successivo, avendo ottenuto nuove convenzioni riguardo alle cateratte di Vico Pisano e risolti diversi altri problemi con alcuni privati.
Nel 1624, i ministri (fattori) della tenuta di Vico decisero unilateralmente la chiusura delle cateratte di Vico ad libitum, giustificandosi con l'affermazione che era ii Serchio che tracimava non avendo argini, come fu confermato da un matematico dello Studio Pisano. Per verificare la realta della situazione fu deciso di fare una ricognizione generale da parte di una commissione cui partecipavano i rappresentanti delle due parti, con verifiche eseguite lungo ii tratto incriminato e con verifiche effettuate anche lungo l'Ozzeri, ii Rogio e la Serezza.
La ricognizione, anzichè eliminare gli inconvenienti riscontrati, servi ad accrescere ii contenzioso; la Corte granducale non resto soddisfatta delle proposte dei Lucchesi (arginatura del Serchio; costruzione di una cateratta fra l'Ozzeri e il Rogio, dove le acque seguono la naturale pendenza dei due canali, uno verso il lago, I'altro verso ovest, per riversarsi nuovamente nel Serchio; disponibilita della Repubblica alla apertura di un nuovo taglio della Serezza, previa rimozione della steccaia di Ripafratta) e minacciò la chiusura delle cateratte di Vico fino a che i Lucchesi non avessero provveduto all'arginatura del Serchio. Sotto tale pressione la Repubblica si vide costretta a fare i detti argini e la cateratta al perno, ponendo come loro eondizione che venissero eliminati gli inconvenienti provocati dalla steccaia di Ripafratta.
Fra il 1625 e il 1630 intervennero una serie di trattati e di nuove querele a motivo della irregolare apertura delle cateratte di Vico, controbattute da parte fiorentina con la minaccia di costruire una cateratta sulla bocca della Serezza. Nel 1637, Luca degli Albizzi comunico all'Ambasciatore lucchese Burlamacchi il grave sospetto che l'innalzamento del lago fosse dovuto alle acque del Serchio che, uscite dal fiume, defluivano verso il lago, e minacciava, in difetto di arginatura di detto fiume, di alzare, come gia in passato, una cateratta alla bocca della Serezza.
La decisa posizione assunta ora dal Granduca e la minaccia di far ricadere sui Lucchesi la responsabilità della situazione del lago quale si presentava al momento, nonchè la minaccia di procrastinare di anno in anno i lavori a carico di Firenze, servirono di monito e richiamo alla Repubblica per l 'attuazione del le opere necessarie. Si decise, per dimostrare cio, di far rifluire nell'alveo del bacino del lago di Fucecchio le acque della Sibolla che dal secolo XIV, mediante un canale, alimentavano i molini dell'Altopascio e si scaricavano nel lago di Sesto; si chiusero inoltre le cateratte di Montecchio e l'apertura del callone, calletta e delle quattro callicelle della steccaia di Ripafratta. II Consiglio della Repubblica, per evitare l'effetto delle nuove minacce, accetto di far eseguire la richiesta arginatura del fiume e le cateratte al perno, costringendo per contro il Granduca a rendere operative le disposizioni a suo tempo emanate per l'abbassamento del livello del lago.
Nel 1638 una delegazione delle due parti, accompagnata da un tecnico delle acque della Repubblica Veneta, Sebastiano Roccatagliata, si recò a verificare l'attuazione dei lavori alle steccaie di Ripafratta; poco convinti di quanto era stato stabilito nella riunione di Ripafratta, proposero in alternativa a quanto stabilito, un nuovo taglio della Serezza, ma la cosa fu rinviata in attesa di una nuova ispezione che il marchese di Sant'Angelo avrebbe dovuto attuare nell'inverno.
Successivamente, considerato che le acque del Serchio non trapelavano nel lago, fu presentato dal marchese Sant'Angelo un progetto ~ opere idrauliche per lo scolo; a tal fine la Repubblica di Lucca stanzio la somma di 13 mila scudi per una prima realizzazione delle opere.
Fra il 1640 e il 1650 la situazione continuo fra le lamentele dei Lucchesi e i preconcetti Fiorentini, con particolare riferimento alla arbitraria chiusura delle cateratte di Vico, rigettato da quest'ultimi il progetto Sant'Angelo, fu scelto dai Lucchesi quello del Parigi. Furono di nuovo ripetute le ispezioni sul territorio, dando origine alla conferenza dei tecnici e dei deputati tenuta a San Giovanni alla Vena, senza peraltro giungere ad un accordo risolutivo, nonostante nuovi sopralluoghi alla steccaia di Ripafratta, che i Lucchesi volevano abbattuta senza contropartita dei lavori alla Serezza pretesi dai Fiorentini.
Dal 1653 al 1662 si provvide alla costruzione della nuova Serezza. Nel 1665 questi lavori avviarono ancora un lungo contenzioso di natura economica in merito alla ripartizione degli oneri dei lavori alla nuova Serezza. Il Magistrato delle Acque di Pisa rifiuto di concorrere alle spese per la pulitura della Serezza da Vico all'Arno, subordinandola all'impegno Lucchese per il rialzamento delle soglie delle cateratte di Riparotto e per la riduzione delle luci da sette a cinque. La controversia duro a lungo, fino alla soluzione provvisoria del 1676, che ben presto sollevò altre questioni fra le parti, seguite dalla solita minaccia ai Lucchesi di costruire una cateratta sulla bocca della Serezza se questi non ne avessero rialzato gli argini in rapporto alla portata della medesima.
La controversia fu temporaneamente sopita sul la base di questi termini: accollo lucchese dei 3/4 della spesa, e di 1/3 a carico dei Pisani; riporto delle spese nella misura dei 3/4 a carico lucchese, e di 1/3 a carico di Pisa.
Nel 1699 l'ingegnere fiorentino Ciaccheri progetto un fognone sotto il letto dell'Arno nell'intento di far defluire una parte delle acque del lago nello stagno di Livorno, ma il progetto fu considerato utopistico e antieconomico. Fu riproposto alcuni anni dopo, di nuovo accantonato fino al secolo XIX. Era preventivata una spesa di 30 mila scudi per il solo sottopassaggio dell'Arno ed altri 100 mila almeno per trasferire le acque nel mare di Livorno.
Le pretese granducali per la bonifica del lago di Bientina proseguirono nel secolo successivo: nel 1701 furono costruite le cate^latte sull'argine destro dell'Arno, all'altezza di Calcinaia, nell'intento di avviare le piene nei terreni della fattoria granducale per colmarli e poi bonificarli.
Ciò fu causa di due alluvioni, una nel 1702, l'altra nel 1706; l'Arno ruppe le catratte di Calcinaia e spagliò nei terreni bonificati, non senza avere seriamente danneggiato gli argini della Serezza e dato modo ai Lucchesi di sollevare le loro proteste. Una nuova ispezione dei tecnici e della deputazione delle parti fu eseguita nel 1709; fu definito in tale circostanza che la strada detta del Condotto fra Calcinaia e le campagne di Bientina, fosse rialzata a mo' di argine, evitando che in caso di rottura delle cateratte di Calcinaia si verificassero danni alla Serezza. I Lucchesi contribuirono a questi lavori con uno stanziamento di 400 scudi.
Nel 1712 fu ancora proposta, come già detto, la creazione di un Bottaccio sott'Arno, ma subito respinta. Non furono pero accantonate le diatribe fra Lucca e Firenze, portate avanti per circa un quarantennio: escavazione dei fossi; rialzamento degli argini; richiesta dei danni provocati delle inondazioni avvenute fra il 1754 e il 1765. In questa circostanza fu emanato un bando d'asta da Pisa per opere sul lago, ma l'asta ando deserta. Ripetuta poco dopo dal Proweditore ai Fossi di Pisa a prezzi piu appetibili, anche per agevolazioni fiscali anche da parte lucchese, ed allargata al taglio di tutte le erbe che crescevano lungo gli argini della Serezza, ando di nuovo deserta, anche a causa delle condizioni stagionali che non permettevano di attuare i lavori programmati. II bando fu quindi rimandato alla primavera successiva.
Intanto una iniziativa improvvisa da parte di Firenze fu attivata il 25 novembre 1755 con la chiusura della Serezza, dando origine al risentimento dei Lucchesi, rimasti tuttavia inascoltati. Lucca, di fronte al silenzio della parte avversa, decise di appellarsi alla corte di Vienna, avuto riguardo alla circostanza che l'Imperatore Francesco Stefano rivestiva anche la carica di Granduca di Toscana. L'Imperatore sentenzio in quella occasione a favore dei Lucchesi, invitando la Reggenza a restituire le chiavi delle cateratte al legittimo caterattaio. Accadde, pero, che il Reggente, il conte di Richecaurt, facesse orecchi da mercante e disattendesse l'ordine sovrano. I Lucchesi furono quindi costretti ad appellarsi ancora all'Imperatore, che ordino di nuovo e questa volta perentoriamente, che la Reggenza Toscana si attenesse alla sentenza sovrana (23 marzo 1756).
Il danno sopportato dai Lucchesi fu calcolato in circa 153840 seudi; I'inondazione aveva interessato circa 7630 coltre di terre, di cui 2720 coltre di pagliareti e di pascoli, con un netto di coltre 4910 di  terre a coltura già seminati.
Alla sentenza sovrana di Francesco Stefano fece seguito l'ordine di riapertura dello scolo del lago e la disposizione che del problema si interessasse una apposita commissione di tecnici e di deputati delle due parti che si incontro a Ripafratta. La delegazione fiorentina era presieduta dall'abate Leonardo Ximenes; quella lucchese da Ruggiero Boscovich, ma senza alcun successo.
Fu necessario l'invio del Boscovich a Vienna con l'incarico di illustrare alla corte le ragioni dei Lucchesi. II Boscovich fu invitato dall'Imperatore a proseguire le sue ricerche e ad esporre all'Imperatore medesimo e alla Reggenza Toscana le soluzioni che egli riteneva le piu idonee al raggiungimento degli scopi.
L'anno successivo (1757) in agosto, il Boscovich espose per conto dei Lucchesi due soluzioni le quali peraltro non incontrarono il- favore ne della corte di Vienna, ne della Reggenza Toscana: esse prevedevano l'abbattimento della steccaia di Ripafratta e delle cateratte alla bocca dell'Ozzeri.
Nonostante il rigetto dei progetti Boscovich, il problema della regimazione delle acque del lago rimase all'ordine del giorno; I'Imperatore-Granduca, intenzionato a dare soluzione al problema, ordino di far scavare a proprie spese un canale che, sovrapponendosi in parte al tracciato della Serezza e della Serezzina, con partenza dalla confluenza del Rogio con il canale dell'Altopascio, giungesse fino a San Giovanni alla Vena con l'immissione nell'Arno attraverso le chiuse del Palazzone. II canale ebbe una lunghezza di braccia lucchesi 11211, pari a metri 6.614 ed ebbe il risultato di abbassare il livello delle acque del Bientina. In cambio i Lucchesi dovettero sobbarcarsi l'onere della arginatura del Serchio, ad evitare che le sue acque, anche in regime di piena, si riversassero nel lago.
 Nel 1765 avvenne un netto cambiamento al vertice dello Stato Toscano, la cui corona passo, previo scioglimento della Reggenza, sul capo del giovane, ma concreto principe Pietro Leopoldo, con conseguenze di miglioramento delle condizioni politiche fra lo Stato di Toscana e la Repubblica oligarchica di Lucca. Un concreto mutamento dei reciproci rapporti fra i due Stati si ebbe con la soluzione del monte Gragno, la cui mancata sistemazione era stata la causa della costruzione della Tura.
In questo nuovo clima di rinnovati rapporti fra Firenze e Lucca, anehe le incancrenite controversie per il lago di Bientina iniziarono ad avviarsi a soluzione. Furono ripresi in esame gli studi e i progetti per lo svuotamento del lago, fino ad allora elaborati dai tecnici delle due parti, compreso il progetto primigenio dell'ingegnere Giuliano Ciaccheri, che prevedeva lo scarico delle acque nel fosso dell'Arnaccio e da li fino allo stagno di Livorno per mezzo di un sottopassante l'Arno. In questo progetto si inseri quello dell'abate Ximenes gia proposto fin dal 1710, che prevedeva lo svuotamento del lago per mezzo dei canali Rogio ed Ozzeri. Quest'ultimo avrebbe dovuto sottopassare il Serchio in botte nei pressi di Cerasomma e da qui per mezzo di un nuovo canale scavato lungo il lato destro, rientrare nel fiume.
II canonico Fantoni fece rilevare le gravi difficoltà cui si andava incontro attuando questo progetto, che in effetti fu scartato, come pure fu scartato quello che prevedeva il taglio della collina di Filettole per un canale che di li si sarebbe ricollegato al Serchio. Un nuovo progetto del Ximenes prevedeva il sottopassaggio del Serchio da parte del canale Ozzeri davanti al torrente della Contesora nei pressi di Santa Maria a Colle e con proseguimento attraverso la piana di Nozzano e Castiglioncello, da dove per galleria raggiungere il lago di Massaciuccoli e di li il mare attraverso la Burlamacca. Anche questo progetto fu abbandonato a causa degli eccessivi costi.
Nonostante questi progetti molteplici, non realizzati, servirono a mantenere desta l'attenzione e a procedere per altre strade alla soluzione della secolare questione. Altri progetti furono studiati dai tecnici fra il 1770 e il 1802, che ricalcavano, chi piu chi meno le idee dello Ximenes, del Boscovich e del Ciaccheri. In particolare, fece riferimento ai progetti Ciaccheri Donato Samminiatelli, provveditore dell'Ufficio dei Fossi di Lucca, il quale nel 1784 proponeva il prolungamento del Canale Imperiale con il sottopassaggio dell'Arno e da qui per l'Arnaccio, la Fossachiara e il Fosso dei Navicelli fino al mare del Calambrone.
Al 1786 risale il progetto per lo svuotamento e la bonifica del lago commissionato dal granduca Pietro Leopoldo al canonico Pio Fantoni , illustre matematico dello Studio Pisano . Lo scienziato , dopo aver riesaminato tutte le precedenti esperienze e le proposte avanzate dai tecnici, opto per il progetto che prevedeva la botte sott'Arno dell'ingegner Ciaccheri, e lo ripropose, in data 25 agosto 1787, al granduca Pietro Leopoldo, il quale era in partenza da Firenze per Vienna per assu mere la responsabilità del Trono Imperiale .
La circostanza causò quindi il rinvio dell'esame ad altro tempo.
Nel periodo a cavallo dei due secoli, la situazione in Europa fu
interessata dai grandi sommovimenti politici e sociali generati dagli effetti della Rivoluzione francese, che ebbe influssi determinanti soprattutto sull'assetto istituzionale in quasi tutti i Paesi della penisola ed anche a Lucca. Le modifiche generate sull'assetto interno dello Stato lucchese non cessarono tuttavia di trascurare l'esame del progetto di bonifica del lago di Bientina e di proporre soluzioni alternative e complementari agli studi settecenteschi. In epoca Napoleonica i Francesi affidarono la supervisione dei progetti e l'eventuale loro esecuzione al Barone di Prany, pur senza promuovere opere e lavori di attuazione dello svuotamento del padule e di bonifica delle terre del padule di Bientina.
Nel 1820, tramontata la stella di Napoleone e assegnato lo Stato di Lucca (Congresso di Vienna del 1815) ai Borboni di Parma, l'emergente architetto lucchese Lorenzo Nottolini sottopose un suo progetto per il padule di Bientina che presentava alcuni caratteri di originalità nel senso inteso ad evitare il defluire delle acque del Serchio nel bacino del Bientina: raddrizzamento del corso del fiume e creazione di due bracci terminali del fiume stesso, un braccio verso una nuova foce al rnare attraverso il taglio di Pietra Padule e il lago di Massaciuccoli; I'altro braccio da introdurre nel fosso macinante a Ripafratta.
II progetto fu valutato positivamente dai maggiori tecnici idraulici, ma non ebbe alcun seguito per una serie di riserve poste dalle autorita toscane ed in prirnis dal Granduca, riserve motivate dal fatto che l'affuazione del progetto avrebbe interessato quasi per intero il territorio lucchese.
La soluzione del problema del Bientina, dopo gli infiniti studi che nel corso di alcuni secoli avevano visto impegnate le piu belle menti di ingegneri, idraulici e matematici, di Lucca, di Firenze e di altre zone, era ormai non piu procrastinabile. Dopo il progetto Nottolini, altri studi furono sottoposti all'attenzione e di Lucca e di Firenze; finalmente un decreto Granducale di Leopoldo II di Toscana del 10 aprile 1852 dava 1'avvio ai lavori, affidandone la realizzazione ad Alessandro Manetti, il quale si avvalse dei precedenti studi, in particolare quelli del Fantoni e del Brighenti, richiamati anche nell'art. 1 del citato decreto del Granduca Leopoldo II.

I lavori furono iniziati il 3 agosto 1853, con posa della prima pietra il 16 settembre 1853 in forma solenne, presenti il Granduca e l'Arciduca Ferdinando. In poco piu di sei anni l'opera era compiuta. Fu inaugurata con grande pompa il 19 dicembre 1859, assente peraltro Leopoldo II che il 27 aprile di detto anno' era stato costretto ad allontanarsi da Firenze sulla via dell'esilio. L'Italia si stava avviando al plebiscito del 22 marzo 1860 che sancira l'unione della Toscana al Regno Sardo.

La situazione politica era ora completamente mutata, gli animi erano alieni dall'accettare solenni manifestazioni. Lo paleso inequivocabilmente e con molta tristezza il progettista dell 'opera Alessandro Manetti, il quale, invitato alla cerimonia dal Ministro ai Lavori Pubblici Busacca, se ne esentò, adducendo motivi di salute.
Con l'inaugurazione della botte i problemi non terminarono, in specie quelli di natura amministrativa e quelli sorti con i privati riguardanti il pagamento delle opere di bonifica e delle relative rateizzazioni. Ne nacque un poderoso contenzioso che si rimando da un anno all'altro fino al 1870, poi, a seguito delle impugnazioni e delle azioni legali, fino al 1891, allorche i rappresentanti dei proprietari ricorsero contro l'Erario al fine di ottenere la riduzione della tassa di bonificamento dalle Lit. 80.000 annue dal 1886 al 1890 a sole Lit. 40.000 a seguito della mancata attuazione degli impegni assunti dallo Stato. II tutto si concluse con un ulteriore accordo fra la deputazione e l'lntendenza di Finanza di Pisa il 18 dicembre 1909, comprendente la concessione ai privati proprietari della richiesta riduzione, definitivarnente sancita con il decreto del Ministero del Tesoro e di quello delle Finanze il 28 gennaio 1910, registrato alla Corte dei Conti l'aprile dello stesso anno.
Le opere di bonifica e di sistemazione fondiaria continuarono dopo la fine della prima guerra mondiale e si protrassero fino al 1940. Tuttavia non si puo dire che la vicenda dell'ormai alveo del lago di Bientina sia definitamente conclusa per motivi diversi che vanno dalI'inquinamento chimico della falda, a quello dei rifiuti che, nonostante i divieti, vi vengono scaricati; oltre a cio le Associazioni protezionistiche reclamano ora un nuovo parziale allagamento del bacino per ricrearvi almeno in parte l'antico habitat.
L'ultimo progetto sull'assetto idraulico del bacino del Bientina e dell'Ente Maremma (ora Ente Toscano di Sviluppo Agricolo) risale al 1975. Gli studi e i progetti continuano e si prospettano interventi tesi al risanamento dall'inquinamento idrico di tutto il Bacino.
Rodolfo Vanni